LA PROPOSTA
Quando Anthony Atkinson ci ha insegnato che per aggredire le disuguaglianze, prima ancora delle politiche, serve che cambi il senso comune, pensava proprio lungo queste linee: imposte come strumento del vivere collettivo e della coesione sociale; progressività e imposte patrimoniali per evitare ingiusti privilegi e concentrazioni del controllo; forte tutela della concorrenza per aprire la strada a nuove imprese, evitare rendite, favorire chi consuma. è la battaglia delle idee a cui siamo chiamati.
Per la sua condotta nel 2021 la politica italiana ha meritato vasti apprezzamenti. Con il sostegno di una maggioranza di unità nazionale (con l’eccezione di FdI), il governo presieduto da Mario Draghi è stato efficace sia nel contrasto alla pandemia sia nella predisposizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza al fine dell’utilizzo degli ingenti fondi messi a disposizione dalla UE.
Sorprende che in questo quadro politico favorevole e con i primi benefici di una vigorosa ripresa economica, il governo e il Parlamento, così come il dibattito politico, abbiano dedicato scarsissima attenzione ad uno dei problemi più radicati e gravi del nostro Paese, quello delle disuguaglianze.
Si è avuta conferma di due distorsioni ottiche, di due percezioni viziate, che ormai paralizzano il sistema politico italiano quando si tratta di intervenire concretamente per ridurre le disuguaglianze, obiettivo da tutti predicato a gran voce.
La prima distorsione è il risultato di un vero e proprio mutamento culturale, frutto di decenni di campagna politica. La tassazione, in sé, è ormai vista come “lo Stato che mette le mani nelle tasche degli italiani” : un abuso, se non un furto. Più grave, insomma, della semplice “furbizia” compiuta dagli evasori. Eppure questi sono cittadini che, potremmo ben dire, “mettono le mani nelle tasche di altri cittadini”, che senza di loro avrebbero meno tasse da pagare o servizi pubblici migliori.
Colpisce che, con il governo migliore possibile, il segretario di un partito della maggioranza venga zittito dal premier perché prospetta l’ipotesi di un lieve aumento delle tasse di successione ai più ricchi per finanziare una dotazione significativa per i giovani, come proposto dal “Forum Disuguaglianze e Diversità”. In questo modo, l’Italia rinuncia a combattere le disuguaglianze eccessive, più presenti che in altri Paesi, perché non si sente neppure di pronunciare parole come tasse di successione o sul patrimonio o progressività.
La seconda distorsione ottica riguarda le tasse occulte. Queste sono la contropartita in termini di maggiori prezzi sui servizi, pubblici o privati, che i consumatori e le imprese devono pagare perché lo Stato o gli enti territoriali tengono quei servizi al riparo dalla concorrenza, mediante disposizioni legislative o amministrative. Chi gestisce quei servizi ottiene rendite di posizione, chi li consuma li paga di più. Siccome ciò discende da decisioni dei pubblici poteri, si può ben parlare di “tasse”. Essendo occulte, il consumatore non se ne rende ben conto, né si accorge che sono i pubblici poteri a imporgliele. Di solito, questi interventi, oltre a non essere trasparenti, finiscono per gravare su soggetti mediamente meno abbienti dei percettori di quelle rendite.
Una vigorosa politica della concorrenza è lo strumento principale per ridurre o eliminare tali rendite, attenuando così le disuguaglianze. Anche su questo piano, tuttavia, non è stata molto incisiva l’azione del governo nel 2021. Pur essendo quella della concorrenza una delle riforme richieste dalla UE ai fini di Next Generation EU, le decisioni del governo sono state assai moderate, anche nel settore, che pure è da anni in infrazione delle norme UE, delle concessioni demaniali sui litorali.