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I segreti di Andrea Pignataro, il miliardario che vende dati ai big della finanza

di Vittorio Malagutti   4 gennaio 2023

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Zero pubblicità. Holding tra Dublino e Lussemburgo. E i prestiti delle banche diventate sue clienti. Così l’imprenditore di casa a Londra e Milano ha creato un gruppo valutato oltre 20 miliardi, leader mondiale nel software per il trading di titoli e la gestione delle Borse

Se davvero i dati sono il petrolio del Ventunesimo secolo, il carburante che alimenta la crescita economica nel terzo millennio, allora Andrea Pignataro si è già conquistato un posto in prima fila tra i nuovi sceicchi del potere globale. Bolognese di nascita, da tempo di casa a Londra, l’imprenditore italiano tira le fila di un gigantesco flusso di informazioni che alimenta i mercati finanziari. Miliardi e miliardi di byte, sotto forma di ordini d’acquisto o di vendita, che muovono le grandi Borse internazionali, da Wall Street alla City londinese fino a Tokio.

Se davvero i dati sono il petrolio del Ventunesimo secolo, il carburante che alimenta la crescita economica nel terzo millennio, allora Andrea Pignataro si è già conquistato un posto in prima fila tra i nuovi sceicchi del potere globale. Bolognese di nascita, da tempo di casa a Londra, l’imprenditore italiano tira le fila di un gigantesco flusso di informazioni che alimenta i mercati finanziari. Miliardi e miliardi di byte, sotto forma di ordini d’acquisto o di vendita, che muovono le grandi Borse internazionali, da Wall Street alla City londinese fino a Tokio.

 

Mai come in questo caso di può dire che il tempo è denaro. Perché pochi secondi di vantaggio nella corsa a un titolo a volte garantiscono guadagni colossali. La velocità è tutto, insieme alla qualità dei dati su cui si basano le scelte dei trader, che molto spesso sono nient’altro che macchine guidate da complessi algoritmi.

 

È questa, in estrema sintesi, la rivoluzione digitale su cui Pignataro ha costruito il suo successo, con una raffica di acquisizioni che l’hanno portato a controllare un gruppo che secondo le valutazioni che circolano sul mercato potrebbe avere un valore compreso tra i 25 e il 35 miliardi di euro. Queste però sono stime di massima, perché la holding Ion, con base a Dublino, non è quotata in Borsa e visto che non è mai stato pubblicato un bilancio consolidato, risulta difficile farsi un’idea completa di una galassia che comprende decine di società e filiali tra gli Stati Uniti e svariati Paesi europei, tra cui, oltre alla Gran Bretagna, anche Italia, Germania, Austria, Svezia.

 

Può sembrare un paradosso, ma un imprenditore che ha costruito la sua fortuna sulla circolazione in tempo reale delle informazioni ha sempre evitato con cura ogni forma di pubblicità riguardo sé stesso. Rarissimi i contatti con la stampa, poche le immagini, e datate. Pignataro è un nome noto solo nella ristretta cerchia dei professionisti della finanza. Chi lo conosce bene racconta che si sposta tra le due sponde dell’Atlantico con un aereo privato e che ha investito milioni di euro ai Caraibi per un buen retiro a Canouan, nell’arcipelago delle Grenadine, su un’isola che in passato è stata al centro di più di una speculazione immobiliare con capitali italiani. Tramite la società Punta Rossa, Pignataro ha invece rilevato vasti terreni nel nord della Sardegna, anche a La Maddalena.

 

In patria, il fondatore e azionista unico di Ion è uscito dall’anonimato solo nel 2021 grazie a due acquisizioni di grande rilievo: prima Cedacri, un’azienda che fornisce servizi informatici agli istituti di credito, e poi Cerved, nata come piattaforma di informazioni commerciali per poi allargarsi ad altre attività, come la gestione di crediti deteriorati. Lo sbarco sul mercato italiano segue la rotta già tracciata negli anni precedenti, con l’obiettivo di consolidare la posizione del gruppo tra i grandi provider di servizi destinati a grandi istituzioni bancarie, fondi d’investimento, società di gestione delle Borse, anche quelle merci.

 

L’ascesa di Pignataro ricorda molto quella di Michael Bloomberg. Entrambi hanno iniziato la carriera alla banca d’affari Salomon Brothers. Il miliardario americano si mise in proprio quarant’anni fa per creare la società che porta il suo nome, destinata a trasformarsi in un impero multimediale fondato proprio sulla fornitura di news e dati agli operatori finanziari. L’imprenditore bolognese, classe 1970, laurea italiana in economia con dottorato in matematica all’Imperial College di Londra, si è invece lasciato alle spalle la carriera da trader (e una quota nell’hedge fund Endeavour Capital) per investire nel software. Il primo salto di qualità è arrivato grazie ai contratti con Mts, il mercato telematico dei titoli stato italiani ed europei, cioè la piazza virtuale dove gli investitori istituzionali si scambiano obbligazioni pubbliche, in primo luogo Btp.

 

All’epoca, una ventina di anni fa, sulla poltrona di presidente della società che gestiva questo snodo centrale della finanza continentale sedeva un economista del calibro di Giorgio Basevi. Un nome, quest’ultimo ben conosciuto da Pignataro, che era stato suo allievo e poi collaboratore all’università di Bologna. Il ruolo di Ion in Mts funzionò come un trampolino di lancio per consolidare i rapporti con colossi della finanza internazionale come Deutsche Bank, Barclays e JP Morgan, che diventarono grandi clienti del gruppo con base a Dublino.

 

Pignataro, infatti, capì da subito di dover crescere in fretta. L’evoluzione tecnologica impone investimenti massicci e chi resta indietro è tagliato fuori dal grande gioco. Le acquisizioni più importanti, quelle che davvero hanno proiettato Ion sullo scenario globale, risalgono alla metà del decennio scorso, dopo la grande crisi del debito sovrano. Le cronache elencano almeno una ventina di operazioni, ma quelle che danno l’impulso più forte alla crescita del gruppo, sia per dimensioni, sia come parco clienti, sono almeno tre, concluse tra il 2017 e il 2019. In quel triennio d’oro passano infatti sotto le insegne di Ion aziende che forniscono dati e informazioni sui mercati finanziati come Acuris e Dealogic, oltre a Fidessa, che invece è specializzata nel software per le piattaforme di trading azionario.

 

Secondo le notizie circolate all’epoca, la campagna acquisti sarebbe costata almeno 3,5 miliardi di euro, finanziata in buona parte a debito. In anni di tassi ai minimi storici e liquidità abbondante sul mercato, i progetti di Pignataro hanno convinto il mondo bancario ad allargare i cordoni della borsa. D’altronde i numeri di bilancio, gli ultimi disponibili, accreditano l’immagine di un gruppo che produce profitti in abbondanza. Nel 2020 i ricavi complessivi delle tre divisioni di Ion (markets, analytics e corporates) hanno superato quota 1,6 miliardi di euro, per oltre la metà realizzati negli Stati Uniti, il 35 per cento in Europa e il resto in Asia, con profitti complessivi per oltre 1,1 miliardi al lordo di interessi, ammortamenti e tasse (ebitda). Questo è quanto si legge nel prospetto informativo pubblicato nella primavera del 2021 in vista dell’Opa in Borsa su Cerved. Il documento dà conto anche dei debiti, che all’epoca superavano i 6,5 miliardi di euro. Una somma di certo rilevante, che però in passato gli analisti hanno sempre giudicato del tutto gestibile, visto che il patrimonio aziendale è rafforzato ogni anno da un abbondante flusso di utili. Inoltre, secondo quanto L’Espresso ha potuto verificare, l’anno scorso la Ion corporate investment di Dublino, una delle principali società del gruppo, ha raggiunto un accordo per rifinanziare debiti per circa 2 miliardi di euro. La scadenza dei prestiti è stata prorogata fino a marzo 2028 e il tasso d’interesse sui nuovi crediti, si legge nelle carte ufficiali, «è inferiore a quello del precedente finanziamento».

 

Sul fronte industriale, invece, la migliore garanzia per la tenuta del gruppo, in aggiunta alla qualità del servizio offerto, sono i consolidati rapporti con i grandi clienti, anche perché, in molti casi, per una banca può rivelarsi molto complicato e costoso trovare un’alternativa ai software targati Ion. Forte di bilanci che grondano utili, Pignataro è così riuscito senza grandi difficoltà a gestire altre due acquisizioni di peso, questa volta in Italia, come Cedacri e Cerved, entrambe completate, come detto, nel corso del 2021. Per l’occasione, con il ruolo di finanziatore, si è schierato al suo fianco anche l’Unicredit guidato da Andrea Orcel, insieme ad alleati di lunga data come Deutsche Bank e Jp Morgan.

 

Non è finita qui, perché secondo indiscrezioni che circolano da mesi, il prossimo obiettivo di Ion sarebbe Prelios, una società che in questi ultimi anni ha allargato il suo raggio di azione aggiungendo alle attività immobiliari anche un business in grande espansione come la gestione di crediti incagliati, i cosiddetti Npl. Il fondo Davidson Kemper capital ha da tempo messo in vendita la quota di controllo di Prelios, che è presieduta da un banchiere di lungo corso come Fabrizio Palenzona. Finora, però, nessuna delle manifestazioni d’interesse ricevute si è mai trasformata in un’offerta vera e propria. Questa volta invece le trattative sarebbero già entrate nel vivo e secondo i rumors di mercato, Prelios potrebbe passare di mano per una somma di poco superiore al miliardo di euro.

 

Nel frattempo, però, Pignataro ha colto al volo un’altra occasione per rafforzare la sua posizione sulla scacchiera della finanza nostrana e ha messo sul piatto 50 milioni di euro per partecipare all’aumento di capitale Monte dei Paschi di Siena, una sorta di ultima spiaggia per la banca controllata dallo Stato. Forte di una quota del 2 per cento del capitale, il patron di Ion è così entrato a far parte del gruppo ristretto di soci privati che hanno affiancato il ministero dell’Economia. In prospettiva le incognite non mancano. Serviranno anni per il rilancio dell’istituto, ma a Pignataro non fanno certo difetto tempo e denaro. E intanto il suo contributo all’ennesimo tentativo di salvataggio del Monte potrà essere ben speso anche al tavolo della politica.