Bilancio pubblico

Doppio guaio per Giorgetti: l'economia si è fermata e in cassa non ci sono più soldi

di Gloria Riva   26 settembre 2023

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il ministro Giancarlo Giorgetti

Il Pnrr era stato pensato appositamente dalla Commissione Europea e dai governi precedenti per affrontare la fine del rimbalzo del Pil. Ma questo esecutivo ancora non l'ha capito e cerca tesoretti. Inesistenti, perché la cassa è vuota

Nella prima metà di settembre 99 imprese metalmeccaniche bresciane hanno richiesto la cassa integrazione: seimila le tute blu coinvolte. Corre e non si arresta il contatore delle Cig: «I segnali non sono buoni, era dai tempi del lockdown che non si registrava una crisi così», dice Antonio Ghirardi, segretario Fiom di Brescia. E se scala la marcia questa provincia - la prima d'Europa per valore aggiunto e numero di occupati -, il resto d’Italia rischia di arenarsi. Chissà se nella Nota di Aggiornamento di Finanza Pubblica (Nadef) da presentare alle Camere il 27 settembre, ci sarà scritto anche questo, ovvero che la pacchia è finita. Per “pacchia” s'intende l’effervescenza economica che ha contraddistinto i due anni post pandemici, segnati da boom di produzione ed export, occupazione record, fatturato e margini in crescita e Pil in vigoroso miglioramento: più 6,6 nel ’21, più 3,7 nel ’22. E quest’anno? Ad aprile il Def, il Documento di Economia e Finanza, prevedeva di chiudere il ’23 a più uno per cento. Troppo ottimismo. Già a giugno i dirigenti delle imprese manifatturiere indicavano un forte crollo di produzione e ordini: e infatti il mese successivo era a 43,8 il Purchasing Managers’ Index (Pmi) ovvero l’andamento dell’attività industriale, che quando si attesta sotto ai 50 punti, significa che in azienda ha smesso di splendere il sole.

 

A metà settembre la Commissione Europea ha confermato i timori e ridotto le stime sulla crescita: nell’Eurozona il Pil migliorerà di 0,8 punti e rimbalzerà a più 1,3 l’anno prossimo. Mentre in Italia si attende una crescita dello 0,9% e dello 0,8 nel’24. La frenata pesa sul rapporto deficit/pil, alla base della prossima legge di Bilancio, e rischia di sforare il 3,7 indicato nel Def. Gli analisti dicono che si andrà oltre il quattro: insostenibile, sia per l’aggravio sul debito pubblico, sia per Bruxelles.

 

La scorsa settimana il consiglio direttivo della Bce ha deciso di giocare in contropiede e segnare il decimo aumento consecutivo dei tassi di interesse, nel titanico sforzo di domare l’inflazione. L’eccessiva stretta monetaria rischia però di strangolare l’economia, come pensano gli artigiani veneti: «Se la Bce non si ferma, sarà un disastro», avverte Roberto Boschetto, presidente di Confartigianato Veneto, che racconta come la stretta monetaria sia già costata 715 milioni di costi extra alle micro e piccole aziende del Nord Est. «Così si frena lo sviluppo, la marginalità viene contratta all’osso e spariscono gli investimenti di processo per aumentare la competitività», e infatti i prestiti alle imprese venete sono scesi del 6,7 per cento quest’anno, il dato peggiore d’Italia, ferma a meno 4,4.

 

Stabilimento produttivo

 

L’intera industria manifatturiera soffre anche per la recessione della Germania, primo sbocco commerciale, che paga più di tutti gli effetti della guerra Ucraina e l’irrigidimento della Cina. Davvero una pessima notizia per la manifattura nostrana, dove l'export segna meno 7,7 su base annua. «Le prospettive per la seconda parte dell’anno non sono ottimistiche e la recessione tedesca porterà una minore domanda», commenta Mario Gnutti, vice presidente di Confindustria Brescia, un territorio in cui l’export è crollato dell’11,9. «Anche l’apprezzamento dell’euro sul dollaro è una coltellata nel fianco alle esportazioni», come racconta Lorenzo Zurino, presidente di Italian Export Forum. Tutto questo spinge gli imprenditori verso territori poco esplorati, come il Sud Est asiatico. Contemporaneamente il mercato interno non da segni di vita. Albino Russo, direttore di Coop, spiega che nonostante l’inflazione fino ai primi mesi del ’23 gli italiani hanno continuato a spendere bruciando i risparmi, ma ora iniziano a tirare (parecchio) la cinghia: «In estate c’è stata un’inversione di tendenza: meno 5 milioni di persone in vacanza rispetto al pre pandemia; ristoranti in contrazione; carrello della spesa alleggerito di tre punti di volume acquistato, un dato che non si ricorda nella storia della Gdo».

 

A tenere a freno il malcontento generale è il dato, ancora positivo, dell’occupazione, con 23,5 milioni di occupati, mai così tanti dal 2008, anche se a luglio l’Istat registra una prima frenata (meno 0,3 per cento) e in linea di massima i salari sono cresciuti troppo poco per stare al passo con i rincari. La direzione che prenderà l’occupazione in autunno sarà fondamentale anche per la Cgil di Maurizio Landini, che ancora non ha deciso di calare l’asso dello sciopero generale. Di sicuro un colpo all’occupazione l’ha dato il ministero dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, gelando il Superbonus 110: perché se è vero che impatta troppo sul debito pubblico e la massa di crediti d’imposta in compensazione quest’anno potrebbe pesare sul deficit, la misura aveva il pregio di trainare il settore edile. Ora gran parte dei cantieri attuali e futuri sono fermi, in attesa di conoscere il futuro dei bonus.

 

Mentre fuori imperversa la tempesta, dentro ai palazzi del governo si ragiona su come usare la politica di bilancio per spingere la domanda. Ma gli spazi a disposizione sono praticamente nulli. Vanificata la speranza di utilizzare il gettito degli extraprofitti bancari - la tassa, bocciata da Abi e Bce, è incapace di generare sufficiente gettito e, per come è scritta, potrà al massimo rappresentare un prestito forzoso una tantum -, si fa largo l’ipotesi di usare il maggior gettito Iva per la manovra. Dice Giampaolo Galli, dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani, che: «Non è chiaro se vi siano anche solo i 4,5 miliardi che erano stati annunciati nel Def». Non potendo fare ulteriore deficit, il governo va a caccia di un tesoretto che non c’è. Resta al palo, dimenticato da tutti, l’immenso tesoro (191,5 miliardi) del Pnrr: nel 2023 sono confluiti nelle casse dello Stato 66,9 miliardi, cui potrebbero aggiungersi a breve altri 18,5 miliardi della terza rata, ma a oggi meno di un terzo di quel denaro è affettivamente stato speso. Eppure il piano Next Generation Eu era pensato proprio per questo: evitare che, terminato il rimbalzo post pandemico, l’economia si schiantasse.