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«Il superbonus andava corretto, non abolito»

di Alberto Bruschini   3 maggio 2024

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Le truffe e i guai non ci sarebbero stati con prescrizioni adeguate e con una gestione oculata

Il governo ha approvato il Documento di economia e finanza 2024. Un documento indefinito, «asciutto» e «leggero», così come preannunciato dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti. Per il governo, il Def «asciutto» e «leggero» significa un documento asettico che non “disturba il manovratore” e rinvia gli interventi di finanza pubblica al mese di settembre, dopo il risultato delle elezioni europee, sulla base dell’andamento dell’economia e dei conti dello Stato.

Le scelte sarebbero del tutto indolori in un Paese diverso dall’Italia dove, invece, i settori fondamentali del vivere civile quali la sanità, l’istruzione, la demografia, il lavoro, ricoprono le ultime posizioni delle rilevazioni statistiche relative dei 17 Paesi dell’eurozona.

In questo contesto meraviglia, però, lo “strame” che è stato fatto del superbonus, non per come  è stato maldestramente architettato e gestito, ma per la notevole utilità che uno strumento del genere avrebbe potuto avere nella transizione green.

Il ministro Giorgetti, dopo tre interventi legislativi nel giro di un anno, ha dichiarato che il superbonus, l’ecobonus e il bonus facciate registrano un costo totale di 219 miliardi di euro a carico della finanza pubblica, senza mai fare accenno agli effetti positivi del provvedimento sull’economia e sulla fiscalità. Per esempio, non si sa nulla sull’andamento del gettito dell’Iva, se abbia influito sull’Irpef pagata dalle imprese edili e in che termini abbia contribuito alla crescita dell’occupazione nelle costruzioni e del prodotto interno lordo.

Il legislatore ha commesso pesanti svarioni per non avere previsto nella legge istitutiva del 2000 delle prescrizioni per le imprese edili (Soa e altre abilitazioni) e per avere posto a carico dello Stato il pagamento integrale dei lavori. Le truffe e i guai non ci sarebbero stati con prescrizioni adeguate e con bonus fiscali non superiori al 70% dei costi effettivi, ridotti al 50% per i contribuenti con redditi superiori a 70 mila euro, con una deducibilità fiscale non di quattro anni, ma da 8 a 10 anni.

L’Agenzia delle Entrate, con gli strumenti tecnologi ora disponibili, sarebbe in grado di gestire la cedibilità a terzi dei crediti fiscali. Non è chiaro il motivo per il quale il governo abbia accettato supinamente la contabilizzazione dei bonus fiscali per cassa, e non per competenza, stabilita dai principi contabili armonizzati per il settore pubblico del 22 dicembre 2022. Di fatto l’impossibilità di diluire nel tempo l’onere dei  bonus fiscali sul bilancio dello Stato (contabilizzati per cassa) impedisce che la spesa pubblica funga da anticipazione finanziaria per favorire la formazione del patrimonio pubblico e privato.

La trasformazione annunciata dal ministro Giorgetti dei bonus fiscali in contributi in conto capitale anche per le imprese, non è solo il de profundis del principio alla base del superbonus, ma anche di quello dell’industria 4.0 ex dl n. 39 del 29 marzo 2024. Una legge apprezzata dalle imprese che, se non altro, evita aggiramenti fiscali. Le imprese, infatti, per poterne usufruire devono dichiarare corrispondenti utili netti di esercizio.

Tale impostazione rinchiude gli interventi dello Stato nell’alveo dei meccanismi degli anni Settanta. Ed è in aperta contraddizione con le innovazioni tecnologiche che dovrebbero caratterizzare la gestione della spesa pubblica.