Aumenta il numero dei Paesi che vuole aderire al gruppo dei Brics, per cambiare gli equilibri mondiali. Il premio Nobel Spence spiega come la Turchia riesca a giocare su più tavoli

Gli Stati Uniti fanno ancora fatica ad accettare la fine dell’unilateralismo che ha caratterizzato il primo decennio del 2000, ma gli equilibri globali sono profondamente mutati. L’esempio più lampante è la nascita nel 2009 e la crescita del gruppo Brics, un’organizzazione economica e politica formata da Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, che dal 2024 può essere chiamata Brics10, visto l’ingresso di altri cinque importanti Paesi. L’arrivo di Iran, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Egitto e in forma leggermente diversa anche Arabia Saudita, dimostra la forte attrattiva di questo gruppo che al summit di Kazan dal 22 al 24 ottobre ha visto una lunghissima lista di nuove richieste di adesione e la pesante presenza, per adesso in qualità di osservatore, della Turchia di Erdogan. Con Ankara potrebbero aderire Algeria, Sri Lanka, Cuba, Indonesia, Venezuela, Palestina, Azerbaijan. Anche la Tunisia, così importante per l’Italia e l’Europa, si è fortemente avvicinata ai Brics. Un peso geopolitico ed economico crescente che coinvolge con i possibili nuovi arrivi oltre la metà della popolazione mondiale. Michael Spence è un economista statunitense che nel 2001 è stato insignito del Premio Nobel per l’Economia, nella sua lunga carriera ha diretto i Dipartimenti di Economia delle Università di Harvard e Stanford e da una decina di anni insegna anche all’Università Bocconi di Milano. Tra i tanti ambiti dei suoi studi c’è soprattutto lo studio delle economie emergenti. 

Professor Spence il gruppo dei Brics cresce ogni anno. Qual è il suo peso negli equilibri globali?

«Si tratta di un peso che sta diventando sempre più grande e che merita molta attenzione. Per comprenderlo dobbiamo capire le economie emergenti che sono cresciute in maniera impressionante e ovviamente la Cina è il perfetto esempio di questo tipologia di crescita. Ma è l’India il Paese da guardare, perché entro la fine del decennio diventerà la terza economia più grande del mondo, a seconda di come vogliamo considerare l’Europa, una sorta di Stati Uniti d’Europa o come piccoli e poco decisivi stati».

La Russia vuole utilizzare i Brics per evitare l’isolamento internazionale e per aumentare le esportazioni, ma come per la Cina il suo vero obiettivo è la de-dollarizzazione del mercato.

«Per la Russia questi incontri sono importanti perché permettono a Putin di avere rapporti internazionali ed è un tema all’ordine del giorno quello della proposta di una Borsa per i cereali che ne stabilisca il prezzo, indipendente dalle borse occidentali. Mosca è un grande esportatore dei cereali e sta spingendo per avere il controllo dei prezzi dei propri prodotti. La de-dollarizzazione però è un tema complesso che nasce dal voler mettere in discussione il dominio degli Stati Uniti. A oggi non credo sia possibile abbandonare un mercato che ha il dollaro come valuta di riserva, anche se molti Paesi in via di sviluppo pensano già ad un mondo in un cui questa valuta non sarà più il dollaro. Per dare un’alternativa credibile serve la disponibilità di mercati grandi ed aperti, la Cina è un grande mercato, ma non è aperto. L’Europa aveva un’occasione di far diventare l’euro la valuta di riserva del mercato, ma la sua frammentazione non le ha permesso di sfruttare questa grande occasione».

All’interno dei Brics può emergere la figura dell’India che ha un potenziale parzialmente ancora inespresso?

«L’India è già un Paese molto influente e lo diventerà sempre di più. Se Nuova Delhi riuscirà a sostenere la sua crescita ha il più alto potenziale fra tutte le economie del mondo. Può continuare a crescere del 7-8% al contrario della Cina che ha già raggiunto un reddito medio-alto e difficilmente potrà crescere più del 5% annuale. La crescita economica indiana sarà accompagnata dalla crescita di influenza che non si limiterà all’Oceano Indiano, ma guarderà ad Africa e Medioriente. La differenza sostanziale fra Cina ed India è che Nuova Delhi non ha una componente manifatturiera come quella di Pechino, ma si basa sui servizi e per questo motivo deve gestire l’occupazione in maniera differente».

Con la nascita e la crescita di organizzazioni come i Brics, quale può essere il ruolo internazionale dell’Europa che sta perdendo la sua influenza anche nel continente africano?

«I Paesi africani stanno ragionando in maniera pragmatica e anche opportunistica. Vogliono collaborare con il partner che porta più benefici economici ed è per questo che la Cina sta investendo moltissimo in Africa. Pechino da anni è il primo investitore continentale, superando tutti i Paesi occidentali che hanno molti problemi e non possono competere. Ma questo non significa che gli stati africani non vogliono trattare anche con Stati Uniti ed Europa, perché la loro non è assolutamente una scelta politica.  Vogliono mantenere il controllo del loro destino senza finire nella sfera di influenza di qualcun altro e con un alto grado di apertura nell’economia globale. L’Europa, come ho detto, poteva far diventare la propria moneta un asset di riferimento globale, ma rimane troppo piccola e divisa. Basta pensare che il mercato azionario di Milano ha una capitalizzazione che è circa un quinto di quella di Apple».

Al vertice di Kazan tante nuove presenze dall’Azerbaijan allo Sri Lanka, dall’Armenia al Venezuela, ma quella più eclatante è sicuramente la Turchia.

«La Turchia occupa una posizione economica unica nel panorama mondiale. Resta un membro della Nato, vuole entrare nei Brics, corteggia l’Europa per portare avanti il suo ingresso nell’Unione Europea. Non credo che sia conflittuale per Ankara entrare in questo mondo e allo stesso tempo far parte della sfera europea e aggiungo che non sarei meravigliato se i turchi fra poco adottassero l’euro come valuta. La Turchia ha un’economia con un potenziale molto alto che è stata gestita male nell’ultimo decennio e questo spiegherebbe i suoi problemi. Ankara deve ancora sfruttare il suo potenziale produttivo e la sua capacità di innovazione e non è lontano il momento in cui il suo ruolo economico sarà sempre più importante non solo a livello regionale ed europeo, ma col tempo anche globale».