Il Forum Disuguaglianze e Diversità ha passato ai raggi X il piano dell’ex premier, concludendo che su welfare, ambiente e migrazioni la direzione strategica per l’Unione è sbagliata

Nelle lettere di missione che la presidente von der Leyen ha inviato ai commissari e alle commissarie che sono stati auditi dal Parlamento europeo, è reso esplicito che il loro mandato dovrà svolgersi nella cornice indicata dal piano Draghi, assunto quindi di fatto come un dato acquisito della macchina istituzionale della Commissione. Ma cosa contiene quel piano? È stato presentato come un ultimo appello a un’Europa in evidente stallo, dal quale non può uscire senza una politica industriale coordinata, grandi investimenti pubblici, semplificazione e nuovo debito comune Ue. Difficile non essere d’accordo, anche se frugalismi e sovranismi nazionali renderanno arduo il percorso. Non sempre però debito, investimenti e semplificazione sono una buona cosa, se vanno in una direzione sbagliata.

 

Il Forum Disuguaglianze e Diversità ha pubblicato una analisi che critica la strategia proposta. Per uscire dallo stallo, Draghi assume con nettezza un unico punto di riferimento: gli Stati Uniti d’America. Enfatizza i punti di forza di quel modello, alcuni dei quali irripetibili, quali lo strapotere militare e l’enorme debito privato e pubblico, possibile solo perché garantito dal dollaro. Tace sui punti di debolezza, sia su quelli storici, quali le diseguaglianze sociali e la debolezza del welfare pubblico, sia su quelli riesplosi nell’ultimo decennio, quali la drammatica polarizzazione politica e la formazione di mostruose concentrazioni finanziarie, che condizionano la politica e minano la stessa concorrenza nel mercato. In un contesto mondiale in rapida evoluzione, il piano insegue una sicurezza intesa come indipendenza militare ed economica dai «Paesi non strategicamente allineati»; una brutta locuzione di nuovo conio, che scarta ogni ipotesi di pace e di cooperazione con la Cina e di ridisegno delle relazioni con l’Africa (citata solo due volte nel rapporto) e ignora che i Brics hanno irreversibilmente superato, ormai anche per fatturato il G7. Un arrocco in un angolo minoritario del mondo, inconcepibile per Delors, per Prodi e persino per Merkel.

 

La demografia è trattata di striscio, solo come riduzione di un fattore produttivo e le migrazioni citate solo per un asserito sfruttamento con fini offensivi. Qui si nota una certa reticenza, ai limiti dell’opportunismo politico, dal momento che anche negli ambienti economici e industriali mainstream è diffusa l’opinione che l’immigrazione sia un fattore decisivo per un rilancio industriale. Così come opportunistici appaiono i richiami alla crescita come strumento anche per «preservare» (non migliorare) l’inclusione sociale di cui l’Europa si vanta, per non ripetere l’errore della comunicazione mainstream della globalizzazione “percepita” dall’opinione pubblica come aggravamento delle diseguaglianze. Per il Forum invece, proprio la riduzione delle diseguaglianze, l’aumento dei salari, il rifinanziamento del welfare sono strumenti anche per la crescita economica. Il piano Draghi va quindi preso sul serio, e offre una buona occasione per una discussione su una politica industriale europea, tanto più alla luce della annunciata politica del duopolio Trump e Musk sui dazi, l’ambiente, il digitale e la difesa. Nel piano ci sono ci sono anche idee valide, ma la direzione strategica è sbagliata e l’insieme delle proposte farebbero male all’Europa favorendo una concentrazione ulteriore del potere economico e politico, accrescendo le disuguaglianze e aggravando la distanza delle istituzioni dell’Unione da bisogni e aspirazioni di cittadini e cittadine.