Costano la metà e sono della stessa qualità. La produzione di Pechino cresce a ritmi pazzeschi. Ecco come l’industria automotive è pronta a mettere in ginocchio i competitor

Il primo passaggio si chiama “The cube”. È un gigantesco “scaffale” alto sei piani contenente centinaia di carrozzerie di auto di vari modelli. Tutto automatizzato: le auto vengono incanalate al ritmo di duecento all’ora attraverso due ascensori verso il secondo livello, chiamato “Body shop”. Qui settecento robot completano l’assemblaggio a ritmo frenetico e le macchine vengono “assegnate” ad altri robot simili a quegli aspirapolvere che girano per casa da soli scansando gli angoli: le auto vengono caricate su questi robot che le portano in giro per la grande fabbrica deserta fino ad assegnarle al reparto di competenza. Qui viene inserita la batteria, e fanno la loro comparsa finalmente alcuni (pochi) esseri umani che stringono i bulloni finali.

 

La fabbrica di Qingdao della joint venture tra Saic, General Motors e la Liuzhou Wuling

 

Ai giornalisti occidentali non è permesso accedere di persona, per cui bisogna accontentarsi della testimonianza filmata di un reporter cinese (visibile su YouTube). C’è probabilmente un po’ di propaganda, ma la sostanza è sicuramente genuina. «Bastano 18 giorni dall’ordine perché la vettura sia consegnata ai concessionari», afferma con orgoglio nel filmato un capo reparto della Nio di Shanghai, produttore di nicchia di auto elettriche di fascia alta presentato alla Saatchi Gallery di Londra nel 2016 e da allora in grado di accogliere nell’azionariato fondi internazionali del calibro di Temasek, Tencent, Sequoia, Tpg. Il primo modello, la “Nio Ep9 sport car”, ha debuttato l’anno scorso ed è pronto per la distribuzione in tutto il mondo. «I cinesi sono molto competitivi nella catena del valore, penso siano una generazione avanti a noi e dobbiamo recuperare questo ritardo molto rapidamente», ha commentato recentemente l’amministratore delegato della Renault, Luca de Meo. Come la Nio, quotata dal settembre 2018 al New York Stock Exchange, sono decine i marchi cinesi che premono alle frontiere europee e americane: Saic, Xpeng, Byd, Geely, Avatr, Cao Cao, Denza, Changan, Great Wall, Li Auto, Leapmotor e decine di nuovi marchi che nascono come funghi, tutti specializzati nell’auto elettrica, di cui già sono disponibili 264 modelli (più del doppio delle case occidentali).

 

 

“Inside the war machine of chinese electric car”, si intitolava un documentario andato in onda in America poche settimane fa, e le prime parole erano: «Questa è la cronaca di un’invasione annunciata». Il mercato mondiale dell’elettrico valeva 388 miliardi di dollari nel 2023 e salirà a 951 nel 2030, secondo i consulenti dell’americana Markets and Markets. Quanto a volumi, il mercato globale ha raggiunto nel 2023 i 20 milioni (comprese le ibride) di auto elettriche (il 23% del totale) e la quota in possesso dei cinesi è già del 24,1%. In Italia le elettriche sono il 12% (il 5% le elettriche “pure”): marginale finora la presenza cinese, ma la situazione è destinata a cambiare in fretta così come in tutta Europa dove le marche cinesi hanno venduto solo 350 mila auto elettriche nel 2023 (su 5 milioni che sono state esportate nel complesso) ma quest’anno le previsioni del think tank specializzato Jato di Londra sono per un’espansione almeno del 35%. L’obiettivo dichiarato è arrivare al più presto (del resto entro il 2050 si dovrebbe scendere alle emissioni zero) a livelli simili a quelli interni: in Cina, su 26 milioni di auto vendute l’anno scorso, il 52% era elettrico. E di queste il 56% era made in China. La proiezione degli specialisti di Alix Partners è che i cinesi avranno il 65% del mercato interno entro il 2030, con le auto elettriche a dominare la scena, ma soprattutto che ci sarà una spinta poderosa all’export. 

 

La sfida è epocale, come prova il duro contenzioso aperto con il governo italiano da Carlos Tavares, ceo di Stellantis, sugli incentivi alla produzione elettrica (oltre a quelli alla vendita), nonché le analoghe controversie in diversi altri Paesi. I cinesi, viste le difficoltà a penetrare nel mercato americano perché Joe Biden non ha rimosso i dazi instaurati da Donald Trump quattro anni fa (e proprio Trump minaccia di tornare alla Casa Bianca), hanno scelto l’Europa come prima testa di ponte anche perché Bruxelles (come la Gran Bretagna) ha imposto i limiti più stretti e dal 2035 non sarà più possibile immatricolare veicoli a combustione.

 

Il leader cinese Xi Jinping

 

Ma come ha fatto la Cina, proprio il Paese additato dall’Onu (alla Cop 28 di Dubai) come responsabile del 73% dell’aumento delle emissioni globali di CO2 fra il 2010 e il 2022, ad accumulare un tale vantaggio? «Hanno avuto la lungimiranza di investire per primi, con l’impegno di ingenti risorse pubbliche, nella tecnologia per l’auto elettrica raggiungendo vette impensabili», risponde l’economista Innocenzo Cipolletta. «Contemporaneamente, con la loro massiccia, ben studiata e copiosamente finanziata presenza in Africa, sono riusciti ad assicurarsi, offrendo in cambio infrastrutture e investimenti, le forniture delle “terre rare”, litio, cobalto, manganese e altre, indispensabili per le batterie. Con un costo del lavoro, che per quanto recentemente aumentato è ancora molto più basso di quello occidentale, la chiusura del cerchio della concorrenza è perfetta».

 

Il sistema-Paese Cina marcia, è il caso di dire, con i giri al massimo: i ricercatori stanno sperimentando batterie più durature e potenti che fanno a meno del cobalto e in futuro anche del litio, costosi e poco sostenibili, per usare mix di altri metalli come nichel e manganese di cui pure detengono abbondanti riserve. La nuova piattaforma di Geely “Sea” (Sustainable Experience Architecture) sforna batterie con 440 chilometri di autonomia. E la Nio ha lanciato un servizio efficiente ed economico, anch’esso pronto all’export, per cambiare spesso la batteria anziché ricaricarla ogni notte.

 

La combinazione di tecnologia, produttività e materie prime consente vantaggi in termini di prezzo ma ormai anche di qualità. Perfino design ed elettronica di bordo sono ai massimi livelli: le auto elettriche cinesi sono talmente accessoriate da essere chiamate «smartphone con le ruote» e non a caso diverse aziende si sono messe a produrre anche cellulari. Ma il prezzo rimane l’asso nella manica. Oggi, si legge in un altro report dello Jato, un’auto elettrica di fascia medio-alta prodotta in Cina costa l’equivalente di 31.165 euro contro i 66.864 (+115%) e i 68.023 (+119%) di un modello comparabile fatto in Europa e in America. Scendendo di livello, le differenze si assottigliano solo marginalmente. Il 78% delle auto elettriche vendute di Cina, secondo la Jato, costa meno di 40.000 euro, e di queste un terzo è attorno ai 20.000 euro. Insomma ce n’è per tutte le tasche, e la convenienza è sempre assicurata. «La Cina con l’auto elettrica occupa nella competizione globale lo stesso posto che ricoprì il Giappone trent’anni fa con l’elettronica di consumo», commenta Cipolletta.

 

I successi dell’auto cinese, mentre sta per cominciare l’arrembaggio all’Europa, sono già rilevanti. Nel 2023 – i conti sono stati appena chiusi – la Byd del miliardario Wang Chuanfu, basata a Shenzen ma con stabilimenti in tutto il Paese, ha superato per la prima volta la Tesla di Elon Musk quanto a vendite di auto elettriche, con 3 milioni di vetture (1,6 milioni di elettriche pure e 1,4 milioni di ibride). Poche di meno ne ha vendute la Saic, che però, considerando anche le vetture con motore tradizionale a combustione, supera i 5 milioni di auto e si conferma per il 18° anno consecutivo il primo produttore cinese: vende poco meno di Stellantis e il doppio della Gm (che peraltro sul fronte elettrico è in ritardo e non arriva a 400 mila auto), in una classifica dominata da Toyota (11,2 milioni di veicoli nel 2023) e Volkswagen (9,2 milioni).

 

Per non farsi prendere in contropiede, negli ultimi mesi le aziende occidentali stanno cercando freneticamente di concludere intese e joint venture con le case cinesi. Stellantis ha perfezionato il 26 ottobre 2023 l’acquisto del 20% della Leapmotor, fondata nel 2015 a Hangzhou dal miliardario Zhu Jiangming, per un miliardo e mezzo di euro, garantendosi due posti in consiglio d’amministrazione. Poche settimane prima prima la Renault aveva fatto lo stesso con la Geely, fondata nel 1997 da Eric Li a Taizhou, e alla fine della scorsa estate la Volkswagen si era alleata per sviluppare insieme due modelli elettrici che saranno lanciati nel 2026 con la Xpeng di Guangzhou, fondata nel 2017 da He Xiaopeng. Insomma, si conferma ancora una volta la validità del detto, che risale all’antica Roma: «Se non puoi sconfiggere il tuo nemico, alleati con esso».