Le misure protezionistiche in economia, l'uscita dalla Nato, il negazionismo climatico. Le istituzioni mondiali e tutti i Paesi prevedono problemi di vario tipo e iniziano a produrre documenti per valutare le contromisure. Ecco cosa pianificano

Lo scenario più inquietante l’ha dipinto la Bundeswehr, le forze armate tedesche, in un rapporto riservato rivelato dalla Bild e intitolato “Alleanza Difesa 2025”: prefigura che Vladimir Putin, appena insediato Donald Trump alla Casa Bianca, invada il “corridoio di Suwalki” che separa la madrepatria Russia dall’enclave di Kaliningrad fra Polonia e Lituania, sede dal 1703 della potente Flotta del Baltico di Mosca. Sarebbe una plateale violazione della sovranità Nato, che però – depotenziata come ha promesso Trump – potrebbe non essere in grado di reagire secondo quanto prevede l’articolo 5 del trattato del 1949 (intervento immediato a favore di qualsiasi membro). «Ma Putin aspetta l’amico americano soprattutto per consacrare la sua conquista del 20% del territorio dell’Ucraina e chiudere a suo modo la guerra», aggiunge Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto Affari Internazionali.

 

Di report più o meno segreti sulle conseguenze del ritorno del tycoon alla presidenza si stanno riempiendo i cassetti dei centri studi di tutto il mondo, delle banche d’investimento, degli uffici della Commissione Ue. Proprio in Europa si concentrano le maggiori paure: il venir meno dell’ombrello Nato costringerebbe i Paesi a spingere sulle spese per la difesa, che restano nella maggior parte dei casi, compresa l’Italia, inchiodate per motivi di budget fra l’1,2 e l’1,8% del Pil quando l’America è al 6%. «Non a caso, queste spese sono state lasciate in una specie di limbo dal nuovo Patto di Stabilità: sono fra le “spese da verificare”, e la verifica riguarda l’opportunità di farle rientrare o no nei conteggi debito/Pil», spiega Giampaolo Galli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici. «Se l’esito sarà sfavorevole, bisognerà finanziarle con nuove tasse o tagli di altre spese pubbliche».

 

Fra economia e politica, i contingency plan, i piani di emergenza in un aggiornamento diventato frenetico dopo l’avvio trionfale delle primarie con il ritiro del rivale Ron DeSantis, valutano una serie di incognite. Meno della Cina (per la quale gli economisti di Trump preparano tasse pari al 60% del valore a carico delle aziende cinesi esportatrici), ma anche l’Europa sarebbe colpita dal protezionismo. Il probabile candidato repubblicano ha già “promesso” dazi, tariffe, aggravi burocratici, tutte misure protettive per difendersi da quelle che secondo lui sono esportazioni viziate dagli aiuti di Stato. «L’equilibrio del condominio e della collaborazione sarebbe rotto», osserva l’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) che di contingency plan ne ha già sfornati parecchi.

 

il presidente russo Vladimir Putin

 

Non solo report e studi, ma misure preventive: «Una conseguenza pratica che già c’è stata del pericolo Trump – dice Brunello Rosa, docente alla London School of Economics – è l’incremento sempre più frenetico degli uffici legali delle aziende, soprattutto della Silicon Valley, il cosiddetto lawyers up. Nella precedente esperienza troppe volte aziende anche importanti si sono trovate spiazzate dagli imprevedibili tweet notturni di Trump: ritrovarsi al mattino con qualche commento sfavorevole del presidente degli Stati Uniti con l’immancabile immediato crollo in Borsa, richiede uffici pronti e rapidi a rintuzzare qualsiasi attacco». È successo a Tesla (per questo Elon Musk è diventato un supporter di Trump), a Microsoft per le eterne questioni legate agli abusi di posizione dominante, e a tante altre.

 

Il fatto di aver già provato la “cura Trump” potrebbe aiutare a prevenire le mosse per un Trump 2 (sarebbe il primo presidente rieletto a “turni alterni” dopo Grover Cleveland nel XIX secolo)? «Non è il caso di farci troppo affidamento», risponde Robert Kagan, capofila degli economisti neoconservatori che il suo piano di emergenza l’ha chiamato “Project for the New American Century”. Trump riprenderà e accentuerà le politiche protezioniste dell’America First ma le condizioni sono diverse: nel 2016 l’economia Usa andava a gonfie vele, il deficit era il 3,2% e il debito il 76% del Pil. Oggi, pur se il 2023 si è appena chiuso con un confortante +2,5% di Pil, le previsioni per il 2024 sono di un deficit al 5,8%, un debito al 100% e una crescita meno tonica. Perfino uno come Trump che populisticamente abbassa facilmente le tasse (soprattutto sui ricchi) senza curarsi del debito, dovrà andarci cauto. Per non farsi cogliere impreparata, la Fed ha comunque preparato il suo contingency plan che prevede un nuovo rialzo dei tassi se Trump forzerà la mano con le misure demagogiche, per raffreddare la spinta propulsiva sull’economia che misure del genere avrebbero e non ricominciare con il tormentone dell’inflazione.

 

Il vero pericolo è su un altro piano, avverte Kagan che lavorò con George W. Bush e i superfalchi Dick Cheney e Donald Rumsfeld ma lasciò il partito quando Trump ottenne la prima nomination: «Se avrà una solida maggioranza al Congresso, varerà una legge costituzionale per scavalcare il 22° emendamento che impedisce il terzo mandato. E manovrerà a suo piacimento la Corte Suprema dove su nove magistrati, sei sono dichiaratamente a suo favore (tre li ha nominati lui): gli sarà fondamentale per liberarsi dei quattro processi a suo carico (il più grave è per aver sobillato la rivolta del 6 gennaio 2021, ndr), che sicuramente non saranno ancora conclusi all’inizio del mandato. La democrazia americana è a rischio».

 

Pompe petrolifere nel mezzo di un quartiere residenziale a Midland, in Texas.

 

Quanto al problema ambientale, «la discontinuità sarebbe stridente perché Trump è un fiero negazionista del riscaldamento globale e con ogni probabilità uscirà dagli accordi di Dubai 2023 dopo essere già la prima volta uscito da quelli di Parigi 2015», spiega Stefano Silvestri, esperto di strategie geopolitiche. Oltre ai contingency plan ci sono i bonanza plan, quelli delle compagnie petrolifere che aspettano il liberi tutti per ricominciare a trivellare senza freni, «e anche a spingere sul controverso fracking, la ricerca dello shale oil negli anfratti sotterranei più profondi, che ha già fatto diventare l’America una potenza energetica pari a un grosso Paese dell’Opec», spiega Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia. Un elemento quest’ultimo che è causa non ultima del tentato disimpegno dal Medio Oriente. Era anche un sogno di Biden (si pensi al caotico addio all’Afghanistan dell’agosto 2021) ma Trump se vorrà continuare a perseguirlo dovrà vedersela con un carattere ancora più intrattabile (e pericoloso) del suo, quello di Benjamin Netanyahu.