Pane al pane
Cosa succederà quando finiranno i soldi del Pnrr
Il flusso di finanziamenti Ue ha reso più leggero il fardello del debito pubblico. Ma solo quando si concluderà, capiremo se siamo usciti dal tunnel
La recente pubblicazione del World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale (Fmi) ci dà l’opportunità di riconsiderare la situazione dell’economia mondiale, europea e italiana. Partiamo dal mondo. Le cose non vanno male, soprattutto rispetto ai timori che erano legati agli sviluppi geopolitici degli ultimi anni. Il Pil mondiale è previsto crescere nel 2024 del 3,2%, come nel 2023 e come è previsto anche per il 2025. L’Fmi nota che questo è uno dei tassi di crescita più bassi degli ultimi decenni. Certo, ma solo perché nei primi vent’anni di questo secolo, con l’entrata prepotente di Cina e altri Paesi emergenti nell’economia mondiale, ci eravamo forse abituati male. Prima del 2000 la velocità normale di crescita del Pil mondiale era intorno al 3%. Si è tornati a quel livello. Mi sembra che ci si possa accontentare, anche tenendo conto del fatto che, tra tassi d’interesse in aumento e crescenti venti di guerra, il rischio di un forte rallentamento fosse molto concreto.
All’interno dell’economia mondiale, a parte la solita crescita più rapida dei Paesi emergenti (il tasso di crescita cinese scende sotto il 5% quest’anno, ma quello indiano si avvicina al 7%), spicca la maggiore vitalità dell’economia Usa rispetto a quella europea. Il Pil americano è cresciuto del 2,5% nel 2023 ed è previsto al 2,7% quest’anno. Nell’area dell’euro, il Pil è cresciuto dello 0,4% l’anno scorso (appesantito dalla recessione in Germania) e non dovrebbe andare oltre lo 0,8% quest’anno (sempre con la Germania come fanalino di coda). Ma non si tratta solo degli ultimi due anni. Dal 2017 al 2024 gli Stati Uniti sono cresciuti di oltre il 17%, contro il 7,6% dell’area euro. L’Fmi prevede che nel 2025 il divario nei tassi di crescita sarà più contenuto, ma la crescita oltre Atlantico resterà comunque più alta (1,9% per gli Usa, 1,5% per l’area euro). Il problema sta diventando grave e, di fronte a questa situazione, i nostri governanti farebbero bene a prendere seriamente le raccomandazioni del recente rapporto Letta su come rilanciare il mercato unico europeo e quelle del rapporto Draghi sulla competitività europea che sarà pubblicato in giugno.
Passiamo al nostro Paese. Negli ultimi sette anni siamo stati abbastanza bene. Nella classifica della crescita nei G7 siamo al quarto posto (5,5% complessivo dal 2017 al 2024), sopravanzando il Regno Unito (5,4%), la Germania (2,9%) e il Giappone (2,3%). Davanti a noi, al terzo posto la Francia (6,2%). Al secondo il Canada (11,1%), dopo i già citati Stati Uniti al primo (17,2%). Simile classifica anche per il solo 2024, con la Germania però all’ultimo posto, visto il miglioramento del Giappone (al terzo posto, ma di poco). Possiamo sperare bene per il futuro? La realtà è che, a partire dal 2020, il massiccio flusso di finanziamenti arrivati all’Italia dalla Banca centrale europea (prima) e dall’Unione europea (poi) ha reso più leggero il fardello del debito pubblico che ci ha svantaggiato dai primi anni ’90 del secolo scorso, rendendoci fra l’altro un perfetto bersaglio per la speculazione internazionale in periodi di burrasca sui mercati internazionali (vedi crisi del 2011-12). Quei flussi, in particolare quelli legati al Pnrr, dureranno ancora fino a metà 2026. Solo a quel punto capiremo se siamo usciti dal tunnel in cui eravamo entrati un quarto di secolo fa.