In caso contrario, il risultato sarà un’inflazione che, per mancanza di domanda, finirà per cadere al di sotto del 2% e un’economia che potrebbe andare in recessione. Senza una vera necessità

Questo pezzo uscirà quando il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta avrà ormai presentato le sue Considerazioni finali all’Assemblea annuale della Banca d’Italia. È probabile che, come ha fatto in passato, auspichi in quella occasione una riduzione dei tassi di interesse da parte della Banca centrale europea (Bce). Se lo ha fatto, ha fatto bene e vi spiego perché.

 

Il compito principale della Bce è quello di mantenere il tasso d’inflazione, cioè l’aumento dei prezzi, intorno al 2% l’anno nell’area dell’euro. Per far questo il suo principale strumento è la manovra del tasso di interesse a cui presta soldi alle banche. Più alto è il tasso di interesse, più costoso è per le banche prendere a prestito soldi dalla Bce e più alto è il tasso a cui le banche, a loro volta, presteranno soldi a famiglie e imprese, che avranno più difficoltà a indebitarsi. Con meno denaro preso a prestito, si ridurrà anche la possibilità di comprare beni e servizi. Meno domanda da parte di famiglie e imprese tenderà a ridurre la crescita dei prezzi: chi vende aumenta i prezzi quando c’è troppa domanda rispetto alla produzione disponibile, mentre li riduce (o per lo meno non li aumenta) quando la domanda scarseggia. Quindi, la Bce deve aumentare i tassi di interesse quando l’inflazione è troppo alta, perché questo tende a ridurre l’inflazione, mentre deve tagliare i tassi quando l’inflazione è troppo bassa.

 

A che punto è l’inflazione? Al momento della scrittura di questo pezzo, l’ultimo dato disponibile sul tasso d’inflazione nell’area dell’euro è quello di aprile: 2,4%, un po’ più alto dell’obiettivo della Bce (2%, come si è detto). Perché allora la Bce dovrebbe ridurre i tassi di interesse? Per due motivi. Il primo è che ci vuole tempo prima che passati aumenti dei tassi di interesse dispieghino il loro pieno effetto sulle banche e sulla loro clientela: quindi non abbiamo ancora visto il pieno effetto sui prezzi dei passati aumenti dei tassi di interesse. Il secondo è che un certo tasso d’interesse è più o meno alto, in termini di effetti economici, a seconda di quello che il pubblico si aspetta sull’inflazione futura. Infatti, se nel corso della vita di un prestito, per esempio un anno, i prezzi aumentano, diciamo, del 4%, il denaro che il debitore restituirà fra un anno varrà, in termini di potere d’acquisto, il 4% in meno.

 

Quello che conta, quindi, è la differenza tra tasso d’interesse e tasso d’inflazione attesa. La Bce ha mantenuto ormai da settembre scorso il proprio tasso di interesse al 4,5%, ma nel frattempo l’inflazione e, presumibilmente, l’inflazione attesa, sono scese. Al 4,5% di settembre ha, quindi, corrisposto un tasso “reale” in crescita da ormai otto mesi.

 

Cosa accede se la Bce non riduce presto i tassi di interesse? L’economia soffre, in termini di crescita di domanda e Pil, più di quanto sarebbe necessario per riportare l’inflazione al 2%. L’economia europea è cresciuta a tassi modesti a partire dalla metà del 2022, con solo una piccola accelerazione nel primo trimestre di quest’anno. Se la Bce non taglia i tassi presto, il risultato sarà un’inflazione che, per mancanza di domanda, finirà per cadere ben al di sotto del 2% e un’economia che potrebbe andare in recessione, senza una vera necessità.