Economia
22 ottobre, 2025Meno lavoratori, più pensionati, più persone al lavoro fino a 74 anni e ancora troppa disparità di genere. Questo il quadro che emerge dai dati di previsione sulla forza lavoro, anche alla luce dell’allungamento della vita media di donne e uomini
L’età pensionabile di donne e uomini si alzerà a 68 anni e 11 mesi entro il 2050, e arriverà a 70 entro il 2067. È quanto rilevato dall’Istat nell’ultimo Focus sulle previsioni sulle forze di lavoro al 2050, citando le stime della Ragioneria generale dello Stato.
In uno scenario caratterizzato dal progressivo invecchiamento della popolazione, cambia la composizione della società, ripercuotendosi sul mercato del lavoro con la diminuzione della cosiddetta “fascia attiva”, cioè quella comprendente persone tra i 15 e i 64 anni di età. Quella, per intenderci, su cui “si regge il sistema economico e produttivo di un Paese”, come sottolineato dallo stesso Istituto nazionale di statistica.
Meno lavoratori significano minori capacità produttive, e dunque maggiori difficoltà a sostenere sistemi pensionistici e di welfare. Maggiore il livello di istruzione dei giovani, maggiore il lasso di tempo che precederà il loro ingresso nel mondo del lavoro; minore la natalità, minore l’ammontare di popolazione occupabile. Ed è di oggi la notizia di un ulteriore calo delle nascite pari al 2,6 per cento – registrato dall’Istat nel 2024 sul 2023 –, con i dati provvisori di gennaio-luglio 2025 che segnalano altri 13mila nati in meno, configurando una decrescita del 6,3 per cento rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente.
L’aumento della speranza di vita, poi, fa il resto. Si calcola che, entro il 2050, questa corrisponderà a 88 anni per le donne – dagli 85 e mezzo del 2024 – e a 84 anni per gli uomini – dagli 82 del 2024 –. Questo spiega come molte persone saranno attive lavorativamente oltre i 65 anni, sia per il graduale innalzamento dell’età pensionabile che per scelta o necessità economica. Di conseguenza, è prevista una crescita sostanziosa del tasso di attività nelle fasce d’età più avanzate, con un aumento del 16 per cento per la fascia 65-74 anni (più 5 punti dal 2024). La classe 65-69 anni, nello specifico, vedrà un incremento del 12 per cento per gli uomini e del 16 per cento per le donne, per le quali si prevede congiuntamente anche una maggiore partecipazione al mercato del lavoro.
Una maggiore partecipazione utile a diminuire, ma non a cancellare, una disparità di genere netta e data per persistente fino al 2050. La popolazione attiva femminile, infatti, si attesta su valori piuttosto inferiori rispetto a quella maschile, non superando mai – nel 2024 – il picco del 73 per cento per le donne tra i 35 e i 54 anni. Per gli uomini della stessa fascia d’età, invece, il tasso di attività supera costantemente il 90 per cento, raggiungendo un massimo del 92.
Un primo cambiamento si avrà soltanto nel 2038, anno in cui, estendendo lo sguardo alle persone fino a 75 anni d’età, è previsto un sorpasso della popolazione femminile attiva su quella inattiva, dovuto anche all’uscita dal mercato delle generazioni del baby boom (1961-1976), che nel 2050 avranno superato i 74 anni.
Disomogenea, infine, anche la crescita prevista del tasso di attività sul territorio italiano, con una differenza tra Centro-Nord e Mezzogiorno.
Se per il Nord-Ovest, il Nord-Est e il Centro si stima un tasso di attività quasi convergente al 2050 (78 per cento per i primi due; 77,5 per cento per il Centro), per il Sud si prevede una quota di popolazione attiva del 62 per cento. Nonostante una crescita paragonabile a quella del Nord Italia (più 5,8 punti), quindi, il divario rimarrà significativo fino alla metà del secolo, mantenendo la configurazione di un'Italia "a doppia velocità".
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