Economia
22 ottobre, 2025Anche grazie ai loro slogan anti-tasse, gli attuali partiti di governo avevano conquistato l’elettorato italiano. Lo stato delle cose, oggi, è alquanto diverso
Un paradosso fiscale. Così si potrebbe definire la linea d’azione scelta dal governo di Giorgia Meloni, tra le promesse fatte in campagna elettorale ormai tre anni fa, e le scelte finanziarie di oggi. Anche grazie ai loro slogan anti-tasse, gli attuali partiti di governo avevano conquistato l’elettorato italiano. Lo stato delle cose, oggi, è alquanto diverso. Con la nuova manovra, la pressione fiscale sarà ai massimi dagli ultimi dieci anni.
I dati riferiti al secondo trimestre di quest’anno, gli ultimi disponibili, mostrano una pressione fiscale e delle entrate totali rispettivamente al 42,8% e al 47,6% del Pil. Dall’ottobre 2022, quando Meloni è arrivata a Palazzo Chigi, le entrate totali e la pressione fiscale sono aumentate di 1 punto e 1,3 punti percentuali di Pil. E sulle prospettive future, la situazione non sembra migliorare. Previsioni governative indicano che la pressione fiscale è destinata ad aumentare, chiudendo il 2025 al 42,8% del Pil (nel 2024 era al 42,5%) rimanendo stabile al 42,8% nel 2026. L’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, inoltre, prevede un ulteriore aumento al 42,9% nel 2027.
L’alta pressione fiscale non è una novità di questo governo, perché è una caratteristica strutturale del nostro sistema economico, anche per via dell’esistenza di uno stato sociale che più di altri in Europa destina ingenti fondi, soprattutto in ambito pensionistico e sanitario. Nonostante l’aumento complessivo del carico fiscale, il governo Meloni ha introdotto sia aumenti che riduzioni delle imposte. Per esempio, sono aumentate le accise sui carburanti. Le stesse contro le quali Meloni si era duramente scagliata in passato. Sono stati rimodulati i bonus fiscali a svantaggio dei redditi più alti. Previste anche nuove tasse per banche e assicurazioni.
Per quanto riguarda le riduzioni, è stato reso permanente il taglio del cuneo fiscale, ossia uno sconto sulle tasse dei lavoratori dipendenti. Tuttavia, ciò ha comportato una riduzione dello stipendio netto mensile per varie categorie di lavoratori. In più, sono state ridotte le aliquote Irpef da quattro a tre. Malgrado ciò, questi due interventi non sono riusciti a ridurre il carico fiscale complessivo. Il suo aumento è dovuto anche a uno specifico meccanismo chiamato drenaggio fiscale, che si verifica nei Paesi con sistemi fiscali progressivi, come quello italiano, con un’alta inflazione. In sostanza, si assiste ad un aumento dei redditi per far fronte all’aumento del costo della vita, che fa salire i lavoratori e i pensionati in scaglioni di imposta più alti, senza che però il loro potere d’acquisto aumenti. Si pagano più tasse, quindi, ma si ha la stessa capacità di spesa, senza un reale miglioramento delle proprie condizioni di vita.
È quindi il fenomeno del drenaggio fiscale ad aver causato l’aumento della pressione fiscale, avvantaggiando lo stesso governo che ha potuto così incassare più fondi senza dover imporre aumenti di tasse troppo evidenti, che avrebbero generato malcontento. Solo nel 2024, si stima che il drenaggio fiscale abbia portato ad un aumento delle imposte incassate dello stato di 17 milioni di euro.
Questo aumento dei proventi, tuttavia, non si è tradotto in modifiche sostanziali, come l’adeguamento delle soglie Irpef o quelle dell’accesso ai bonus. Anzi, questi introiti extra sono stati utilizzati per adeguare i conti pubblici. E malgrado il governo sostenga che l’aumento della pressione fiscale sia causato dall’aumento dei lavoratori, questa spiegazione è stata ripetutamente smentita dagli esperti. Gli stessi che denunciano anche le modalità non trasparenti di presentazione dei dati, facendo il governo un uso alquanto esteso delle voci di bilancio residuali, non incluse nell’indicatore della pressione fiscale, che viene così falsato.
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