Economia
30 ottobre, 2025Fermo all’intuizione iniziale che ne aveva decretato il successo, l’emblema del lusso online è precipitato in una crisi nera. Sulle spalle dei lavoratori. Analisi di una caduta rovinosa
Grande gloria dell’innovazione italiana, un tempo. Alfiere di un possibile riscatto tecnologico del Paese, che ancora aspettiamo. È una storia di delusioni quella di Yoox. Lo sanno bene i 211 dipendenti in esubero in Italia (e 500 tra Regno Unito e Usa) da Ynap, attuale nome di Yoox, azienda e-commerce dedicata alla moda elegante. «Una realtà rilevante da salvaguardare», ha riconosciuto il ministro del Mimit Adolfo Urso che per questo motivo sta trattando con l’azienda soluzioni alternative ai licenziamenti annunciati.
Ecco: Yoox per più di un decennio è stata portata a esempio che anche noi italiani ce la possiamo fare a sfornare startup di successo. È stato il primo “unicorno” italiano, ossia un’azienda non quotata in Borsa con una valutazione di almeno un miliardo di dollari. Di miliardi l’azienda ne ha persi circa due, però, negli ultimi due anni. Il rosso in bilancio è stato di 335 milioni di euro solo nel primo trimestre 2025.
Com’è potuto succedere? Dietro il tracollo di Yoox – come gli esperti continuano a chiamare l’azienda – c’è una lunga storia di errori imprenditoriali. È anche una vicenda che racconta molto di cosa sia diventato il mercato della moda, ormai stretto tra super lusso e super sconti. Una tenaglia che ha soffocato i sogni dell’ex prodigio italico.
Sogni svettanti. Già nel nome, ispirato all’universalità delle ambizioni del fondatore, Federico Marchetti: la Y e la X sono simboli dei cromosomi femminili e maschili; le due “o” ricordano il codice binario dell’informatica ma poi «sono diventate il simbolo dell’infinito. E quindi io mi immagino che sia la mia eredità per sempre», dice in un’intervista pubblicata sul suo sito (federicomarchetti.com).
«Siamo il più grande fornitore di moda al mondo attraverso internet», diceva Marchetti nel 2009, al momento della quotazione in Borsa. Il meglio però doveva ancora venire. Gli anni d’oro: tra il 2010 e i 2014 l’azienda amplia gli assortimenti, investe in tech e logistica, fino a diventare leader europeo nel settore. Nel 2015 si fonde con l’ecommerce di moda femminile Net-a-Porter. Nasce Ynap, dalle due realtà, con ricavi combinati di 1,4 miliardi e 24 milioni di visitatori unici annui.
Finché nel 2018 Richemont, holding finanziaria svizzera del lusso (che tra l’altro controlla Cartier) acquista Ynap per 2,8 miliardi di euro, portandone a 5,3 miliardi la valutazione.
È il punto economico più alto. Da allora, il declino. Marchetti, fino a quel momento l’amministratore delegato, esce da Ynap nel 2021, e «lo fa al momento giusto. La sua uscita è uno dei fattori che hanno pesato sui problemi successivi», commenta Roberto Liscia, il patriarca dell’e-commerce italiano, storico presidente dell’associazione più nota, Netcomm. Adesso Marchetti, nato a Ravenna nel 1969 («un romagnolo americano», fonde creatività e spirito del capitalismo, ha detto nel 2021 a SkyTg24) è impegnato in progetti per rendere la moda più sostenibile, collaborando tra l’altro con il principe Carlo di Inghilterra.
I problemi per Ynap cominciano subito dopo. Richemont non sa sfruttare le caratteristiche uniche di Ynap e il suo posizionamento sulla moda italiana e anzi lo disperde. Il Covid-19 contribuisce al dramma. Nessuno ha voglia di comprarsi un vestito elegante solo per fare videoconferenze o mangiare pizze a domicilio con la famiglia. Nel 2021 Ynap perde in bilancio 171 milioni. Richemont cerca con ansia un compratore. Si fa avanti il concorrente Farfetch, che però fallisce due settimane prima della firma. Il paziente, trascurato, peggiora. Nel 2024 le perdite di Ynap salgono a 1,83 miliardi. La vendita avviene solo nel 2024, al gruppo tedesco MyTheresa (poi rinominato in LuxExperience), per 555 milioni di euro e Richemont mantiene il 33 per cento della realtà risultante. Dopo la vendita, il colosso svizzero ha registrato circa 1 miliardo di euro di perdita, relativa alle attività cessate di Ynap. Ecco la certificazione quantificata del flop.
I problemi non sono finiti per l’ex creatura di Marchetti, però. Anzi: da subito gli esperti notano che i ricavi di MyTheresa sono meno della metà di quelli di Ynapp. Il pesce più piccolo che mangia quello più grande: una stortura che può finire solo come sta andando. Con razionalizzazioni: ovvero, tradotto dall’aziendalese, licenziamenti.
Gli esperti concordano sulle cause di fondo. Un mix di congiuntura economica per il settore e incapacità dell’azienda di svecchiarsi. Non proprio una bella nota per chi si è sempre presentata al mondo come campione innovativo.
«Il mercato globale dell’abbigliamento in generale continua a crescere, sia nei negozi fisici sia online. L’ecommerce di settore, che vale circa il 30 per cento delle vendite, ha fatto 634 miliardi di ricavi nel 2024. Un aumento del 5-10 per cento sul 2023 secondo varie stime», dice Liscia. Il mercato del lusso globale ha perso il 2 per cento nel 2024, secondo gli analisti di Bain, invece.
«Il problema è che ad andare bene sono due opposti: il super lusso e le vendite low cost, trainate soprattutto da negozi cinesi come Shein e Temu», dice Davide Casaleggio, che con Casaleggio Associati è un osservatorio sull’ecommerce italiano. Concorda Liscia: «A soffrire è il lusso “aspirazionale”, come si chiama». Le vendite, online e fisiche, a clienti di ceto medio-alto. Ricchi ma non ricchissimi, insomma. Su quelli hanno puntato marchi come Burberry e Versace e vari indipendenti, che infatti da un paio di anni circa registrano perdite importanti. Con loro, le piattaforme online come appunto Yoox che in segmento lavorano.
Gli economisti concordano sulla diagnosi: il rallentamento dell’economia, dagli Usa alla Cina, ha tolto soldi dalle tasche del ceto medio-alto. Sempre più persone preferiscono aspettare gli sconti e – soprattutto i giovani della generazione Z – l’usato e il fast shopping low cost (istintivo quanto poco sostenibile dal punto di vista ambientale) su Shein e Temu. I super ricchi invece preferiscono marchi che sono davvero esclusivi e soprattutto si riversano sul mercato “esperenziale”, leggi viaggi da nababbo e ristoranti stellati. Il lusso dei servizi è in forte crescita, al contrario di quello dei prodotti, come si legge in una rielaborazione fatta dall’Economist a ottobre su molteplici fonti statistiche.
Tutto questo non valga da giustificazione agli errori commessi dai manager dietro Ynapp. «Un modello datato, basato sulla vendita di servizi digitali al brand. I concorrenti come Zalando e Vente Privée (Vp) sono riusciti invece a innovarsi», dice Liscia. «La forza di Yoox era gestire tutto il canale di vendita di un brand – spiega Liscia – Poi però i brand hanno imparato il mestiere dell’ecommerce e hanno cominciato a farselo in casa. Vendono online direttamente e possono anche spedire a domicilio i prodotti visti dai clienti nei negozi fisici».
«Zalando e Vp hanno però saputo adattarsi. A integrarsi nella strategia multicanale (online e fisico) del brand. In più, hanno migliorato la qualità del servizio al cliente finale. Yoox invece è rimasta ferma», continua Liscia.
Un esempio: proviamo a scrivere «scarpe vegane da uomo per un matrimonio» su Zalando. «L’intelligenza artificiale integrata capisce l’esigenza specifica e ci dà i prodotti corretti. Su Yoox no», dice Liscia. Insomma, quello del lusso (online soprattutto) è un mercato che sta cambiando molto. Nelle rivoluzioni, chi si ferma è perduto. Ynap questo ha fatto e, come spesso accade con gli errori delle multinazionali, rischiano di pagare i lavoratori che nulla c’entrano in queste dinamiche.
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