Economia
21 novembre, 2025Articoli correlati
Da ausilio a sostituto. Non solo nella logistica e nei call center. La macchina minaccia lavori creativi e artistici. Dalla scrittura alle traduzioni fino al doppiaggio
Gli esperti rassicurano: l’Ia ci aiuterà a lavorare meglio. Ma se è usata per scrivere testi e proprio questo è il mio lavoro, scrivere, il risultato è che sono sostituita. E come me, tanti colleghi». Daniela Farnese, classe 1978, è stata una delle prime blogger italiane, autrice di romanzi rosa da centinaia di migliaia di copie vendute (Via Chanel n.5 e successivi).
Ora lavora come creativa in ambito pubblicitario, artistico e social media. Come tanti altri casi, alcuni riportati dai sindacati e altri raccolti da L’Espresso, da quando c’è Chagpt Farnese guadagna molto meno («circa il 30 per cento»). Scrittori, giornalisti, pubblicitari, grafici, traduttori: ecco la prima linea delle vittime italiane. Tutti freelance, di lavori cognitivi. I più vulnerabili all’ondata dell’Ia. Nel mirino, però, anche gli addetti ai call center, secondo Cgil.
È forse il primo sintomo italiano di un problema che presto riguarderà tutti. Negli Stati Uniti, dove l’Ia è adottata di più, si vede con maggiore chiarezza un impatto occupazionale; in particolare per le fasce junior e per i lavoratori cognitivi di medio livello come contabili, programmatori, autori vari. Lo confermano studi recenti, ad esempio del Budget Lab di Yale e il paper di Hosseini & Lichtinger dell’Università di Harvard. Secondo quest’ultimo, l’adozione dell’Ia ha prodotto una riduzione del 7,7 per cento delle assunzioni junior nelle imprese che la integrano nei processi. Grandi aziende hanno annunciato licenziamenti o blocchi di assunzioni citando l’Ia come motivo: di recente Amazon, Meta, Ups, Target, GM, Wallmart, per lo più in ambito risorse umane, pubblicità, operation. «Penso che ci sia molta incertezza. Non sappiamo quanto siano valide queste applicazioni di Ia, ma le aziende ci stanno provando e, di conseguenza, licenzieranno alcuni lavoratori», commenta a L’Espresso Daron Acemoglu, Nobel all’Economia 2024 e autore di studi sull’impatto socio-economico dell’intelligenza artificiale.
Operai e lavoratori manuali per ora sembrano immuni al problema, ma in futuro chissà. Già, perché le ultime innovazioni stanno arrivando anche nei robot.
Amazon intende sostituire fino a 600mila addetti alla logistica, nei suoi magazzini, e così automatizzare fino a 75 per cento delle operazioni, grazie a robot intelligenti di nuova generazione (secondo documenti aziendali interni scoperti qualche giorno fa dal New York Times; Amazon ha replicato parlando di «dati parziali» e ipotetici). Alcuni Amazon li ha già presentati, nelle ultime settimane. Posseggono avanzate capacità manuali, tatto e visione per smistare e spostare pacchi. Riescono così a fare cose che prima erano sola prerogativa degli umani, ovvero gli operai che ora lavorano nei magazzini Amazon e non solo in quelli.
«Al momento in Italia l’impatto dell’Ia sul lavoro è minimale perché l’adozione è piccola, ma è destinato a crescere tantissimo», aggiunge Marco Bentivogli, tra i più noti esperti di politiche del lavoro e innovazione industriale, fondatore di Base Italia.
Solo l’8 per cento delle pmi italiane – base del nostro tessuto industriale – ha un progetto di Ia, secondo gli ultimi dati degli osservatori del Politecnico di Milano (resi noti a febbraio 2025). «Mi aspetto in futuro molti utilizzi in manifattura, siderurgia, per via delle grandi capacità applicative di questa tecnologia», aggiunge Bentivogli.
Per ora, gli effetti si vedono su altri lavori; e non sono belli. «In Italia ci sono già elementi di preoccupazione, in area impiegatizia, per mansioni medio basse», conferma Alessio De Luca, che si occupa di questi temi per la Cgil.
A settembre, Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil in una nota hanno espresso «forte preoccupazione per le prospettive occupazionali» nei call center, «nelle attività di back-office e quality a causa dell'intelligenza artificiale». Sotto accusa in particolare, per ora, un nuovo bando Enel, su 1500 lavoratori: secondo Cgil ne richiede il 30 per cento in meno del solito per via dell’uso di «operatori artificiali», come chatbot e risponditori automatici.
«Molti dei clienti con cui collaboro da anni, per lavori di copy social, newsletter, profili LinkedIn, sinossi di libri, quarte di copertina o editing di racconti, – dice Farnese – non mi danno più lavoro. Se lo fanno in casa con l’Ia, mi dicono. O mi danno solo compiti di supervisione di quanto fatto dalla loro Ia. Un’attività meno interessante perché meno creativa. Idem mio marito, Fabio Mauri, per i suoi lavori da illustratore».
Paradossale: tanti studi in passato hanno detto di non preoccuparsi, perché l’Ia prenderà solo le mansioni noiose e ripetitive che gli umani non vogliono fare. Per Farnese e tanti suoi colleghi è il contrario.
Stessa esperienza per Lia Bruna, traduttrice e sindacalista Strade Slc: «Ci arriva ormai perlopiù lavoro già tradotto dall’Ia, ci chiedono di rivedere. Ed è più faticoso, più alienante». Bruna quest’anno guadagnerà il 25 per cento in meno, dice: «Si è ridotta la domanda di traduzioni e illustrazioni nel complesso, a quanto riferiscono i lavoratori a Strade», aggiunge.
A rischio sono anche i doppiatori, perlomeno quelli che si occupano di voice over nelle pubblicità: «Alcune delle campagne per cui ho fatto i testi, di Calvin Klein o Lacoste, hanno utilizzato voci create con l’Ia mentre prima avrebbero assoldato doppiatori», dice Farnese. «Per fortuna la pubblicità fa solo il 3 per cento del settore doppiaggio, ma la minaccia è chiara», dice Daniele Giuliani, doppiatore, dialoghista e presidente di Anad (Associazione nazionale doppiatori). C’è il timore a livello internazionale che l’Ia possa diventare brava a sostituire gli umani anche in film e serie tv, magari simulando la voce di professionisti reali. Anad si è battuta per inserire una clausola che lo vieti, nei contratti di cessione diritti d’autore.
Le vittime del lavoro artificiale adesso sono poche, concorda la maggior parte degli studi. Ma forse sono solo il primo fronte, il più esposto alla minaccia. «Non credo che sarà un grosso problema nel breve periodo», dice Acemoglu. La vera questione è un’altra, «se qualcuna di queste aziende farà il grande sforzo di utilizzare l'Ia in modi che possano rendere i propri lavoratori più produttivi, piuttosto che limitarsi ad automatizzare le attività», aggiunge. È l’augurio anche di Bentivogli, che suggerisce di «rendere le persone protagoniste di questo cambiamento, lasciando loro scegliere quali compiti demandare alle macchine e quali altri, più evoluti, svolgere». Il grande assente qui sono le istituzioni, che dovrebbero sviluppare politiche del lavoro per accompagnare questo cambiamento. L’Ia alle giuste condizioni non è un male, «non è la fine del lavoro ma la sfida politica del nostro tempo», concorda Lorenzo Basso, senatore che segue il tema per il Pd. «Dovremmo inserire nei contratti nazionali clausole sull’Ia. Definire un protocollo tra le parti sociali per analizzare vari rischi connessi», aggiunge De Luca. Negli Usa sta già avvenendo; è così dal 2023 negli accordi collettivi col sindacato giornalisti. In Italia siamo in ritardo sull’innovazione non solo quando si tratta di adottarla, ma anche quando bisogna gestirne i rischi sociali. «È un tema che per il governo non esiste – chiosa De Luca – La legge italiana sull’Ia, approvata a settembre, quasi non tratta di lavoro e non in questi termini».
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