Rampelli (FdI) accusa l'ente indipendente Arera di non aver consegnato al Parlamento il dossier sulla formazione del prezzo dell'energia. Besseghini (Arera) risponde che l'indagine è in corso e serve tempo per giuste valutazioni. Mentre Enel si sfila (e dice di non avere più una posizione dominante) e gli industriali accusano le utilities. Nel mezzo il governo che fa? Per ora resta fermo

La bolletta dei dissidi. Il caro energia fa litigare tutti: imprese, politici e autorità. Di chi è la colpa se l'energia è sempre più cara?

«È sotto gli occhi di tutti l'insostenibile differenza di prezzo dell'energia elettrica tra l’Italia e le principali nazioni europee, che grava sui bilanci di famiglie e imprese, rendendo impossible a queste ultime competere sui mercati internazionali», parole di questo tenore dovrebbero venire dall'opposizione che, nel gioco delle parti, se la prende con la maggioranza.

 

Invece no. È il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, esponente di Fratelli d'Italia, a dire che qualcuno droga il mercato e il governo lo stanerà. Striglia l'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, Arera, in ritardo (di un mese e mezzo) sulla pubblicazione dei risultati di un'indagine avviata sulle storture del prezzo dell'energia elettrica. «Nel 2024 l'Italia ha pagato un costo medio dell'elettricità di 108,52 euro per megawattora decisamente più alto rispetto al resto d'Europa: in Francia è stato di 58,02 euro, in Germania 78,51, in Austria 81,54. La Spagna si è attestata a 63,04 euro per megawattora, mentre l'area scandinava ha visto prezzi addirittura di 38,06 euro», scrive Rampelli in un comunicato, per poi chiedere conto ad Arera dell'indagine avviata a ottobre sulla formazione del prezzo unico nazionale dell'energia, il Pun, a seguito di numerose sollecitazioni. «Arera si era impegnata a trasmettere gli esiti dell'indagine al Parlamento entro marzo, ma siamo ancora in attesa di riceverli».

 

Stefano Besseghini, presidente di Arera, a l'Espresso risponde: «L'indagine è complessa ed è in pieno svolgimento. Ci stiamo concentrando sulla verifica dei comportamenti sui mercati elettrici all’ingrosso per capire se vi siano state anomalie nei comportamenti di offerta nel periodo 2023 e 2024. La crisi energetica registrata negli anni scorsi non aveva precedenti quindi l’analisi e la diagnosi devono essere ben ponderate».

 

Nella delibera di avvio dell'indagine, firmata da Besseghini il 4 ottobre scorso, c'è scritto che l'istruttoria sarà chiusa entro il 30 giugno e prevede la pubblicazione di un rapporto di indagine entro il 31 marzo di quest'anno per la valutazione degli esiti di mercato; e di un rapporto entro il 30 giugno per la valutazione delle altre voci che contribuiscono alla formazione del prezzo. «Chiuderemo il procedimento nei tempi previsti ma è importante sottolineare sin da ora che questa indagine non ha una rilevanza diretta per quanto riguarda le dinamiche del mercato retail» aggiunge Besseghini.

 

Intanto ad aprile il costo dell'energia in Italia è stato di 100 euro al megawattora, mentre in Germania è stato di 78 euro, in Francia di 42 euro e in Spagna di 27 euro. «La Germania ha le condizioni più simili alle nostre, non ha nucleare, e brucia carbone più o meno nella stessa proporzione con cui noi traiamo energia dall'idroelettrico», ha aggiunto Rampelli che, comprendendo di non essere più all'opposizione, se l'è quindi presa con la «pessima gestione dell'energia negli scorsi decenni», anche se andrebbe ricordato che il suo partito è al governo da oltre due anni e mezzo. Ha poi sparato sull'ex premier Mario Draghi che «ha denunciato il fenomeno all'Ue, ma a sua volta non è riuscito a gestire questo ginepraio inestricabile di interessi e rendite di posizione cui porremo rimedio. Con buona pace di chi ieri si è dimostrato incapace e oggi abbaia alla luna».

 

Mentre Rampelli accusa i predecessori, ancora non è chiaro chi sia ad aver distorto i prezzi e se li abbia davvero distorti, visto che Arera non ha ancora concluso l'indagine. Besseghini, intervistato da l'Espresso, fa notare che oltre al Pun, il prezzo all'ingrosso della materia prima, pesa sulla mancata riduzione dei costi in bolletta anche un regime di quasi-oligopolio nel segmento della vendita «con una decina di operatori che coprono oltre il 70 per cento del mercato, nonostante vi siano oltre 700 operatori in Italia», dato che testimonia anche una certa inerzia dei consumatori a cambiare fornitore.

 

Il motivo per cui la stragrande maggioranza di chi cambia operatore non opta per una soluzione più economica potrebbe essere questo, secondo Besseghini: «Il consumo medio famigliare è di 2.000 kWh l’anno e, in base agli ultimi dati, la bolletta per la Maggior Tutela si attesta attorno a 600 euro l'anno, mentre nel mercato libero oggi la media è sugli 862 euro l’anno. Questo valore è, appunto, una media complessiva che include sia le offerte meno convenienti, che presumibilmente nessuno sceglierebbe, sia le offerte con i servizi aggiuntivi, che possono essere di vario tipo e comunque implicano dei costi superiori. Selezionando quello che ci serve, ci sono nel libero anche tariffe più convenienti che consentono risparmi fino a 140 euro l’anno, rispetto alla Maggior Tutela. Per questo abbiamo creato il Portale Offerte dell’Autorità, che consente di paragonare le offerte sulla base della spesa annua, delle tariffe applicate e di confrontare le diverse proposte contrattuali mediante codici identificativi. Fatta eccezione per la fase più acuta dell’emergenza prezzi del 2022, la spesa media per i clienti in Maggior Tutela è stata storicamente inferiore a quella sostenuta per i clienti del mercato libero: difficile, quindi, immaginare che quest’ultimo potesse apparire attraente per i clienti. Oggi i clienti non vulnerabili possono scegliere soltanto dal mercato libero e spesso la scelta di un nuovo operatore non è più solo legata al prezzo, ma a servizi aggiuntivi come la fibra ottica, l’assicurazione dell’auto o il contratto di telefonia». Secondo il presidente di Arera, però, le cose potrebbero migliorare: «Notiamo una maggiore dinamicità e propensione al cambio fornitore nelle fasce più giovani della popolazione».  

 

A proposito dell'oligopolio dei gestori, Flavio Cattaneo, numero uno dell'Enel, nei giorni scorsi si è visto dalle parti di palazzo Chigi, probabilmente per incentivare una quadra sul fronte concessioni. E, nei giorni scorsi, ha dichiarato alla stampa che «Enel ha già abbassato i prezzi dell’energia del 40 per cento per le pmi rispetto al primo trimestre ’24 e non è più l’operatore dominante, perché rappresenta il 13 per cento della generazione totale in Italia». Una risposta che non deve essere piaciuta a Confindustria. Sempre a mezzo stampa, il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi ha detto: «Sul caro energia difendiamo le imprese, non i profitti delle utility». Gozzi e altre imprese energivore si dichiarano pronte a partecipare alle gare per le concessioni, se mai saranno indette, come chiede l’Antitrust e l’Europa. Insomma, una bella matassa da sbrogliare per palazzo Chigi.

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