Economia
10 luglio, 2025Digitali e pronti alle sfide del mercato del lavoro dei prossimi anni. Ma anche trasversali per formazione e competenze. Parla Raffaele Oriani, alla guida della Business School della Luiss
Professor Raffaele Oriani, l’ultimo rapporto Istat evidenzia segnali di stagnazione economica e una crescita ancora fragile della produttività. In che misura questa situazione è legata a un deficit di competenze nel nostro sistema formativo e professionale?
«Le competenze sono naturalmente alla base della competitività di un Paese, in termini di qualità, ma anche di corrispondenza rispetto alle esigenze delle imprese e delle istituzioni. L'obiettivo del nostro sistema formativo non è solo quello di valorizzare i talenti in un contesto sempre più internazionale, ma anche quello di orientare le scelte degli studenti verso aree che siano effettivamente allineate alle richieste del mercato del lavoro. La Business School sente molto la responsabilità di lavorare sulle competenze degli studenti, anche grazie a una continua analisi dei fabbisogni attuali e futuri del mondo dell'impresa e della società».
Viviamo una transizione epocale: digitalizzazione, automazione e intelligenza artificiale stanno rivoluzionando il mercato del lavoro. La scuola e l’università italiane stanno rispondendo con sufficiente rapidità a queste sfide?
«L'intelligenza artificiale modifica il modo in cui i nostri studenti lavoreranno nei prossimi anni, il che ci richiede di intervenire sin da oggi su competenze nuove e diverse, legate da un lato al mondo della tecnologia e dall’altro al comportamento umano. Cambiano anche di conseguenza i percorsi formativi e il modo in cui insegniamo. Abbiamo il compito di integrare l’Ia nei contenuti dei nostri corsi e nelle metodologie didattiche, con responsabilità e trasparenza. In questi anni l’Università Luiss ha assunto docenti dell'area di computer science, creato un nuovo Dipartimento di Ia, Data and Decision Sciences e un centro di ricerca che si chiama AI4Society, al fine di studiare le implicazioni dell’intelligenza artificiale per le organizzazioni, il mondo del lavoro e la società e supportare con la didattica e la ricerca i suoi partner nei complessi processi di trasformazione che sono in atto».
Lei guida una delle business school più innovative del Paese. Quali sono oggi, secondo lei, le competenze chiave per i manager e i professionisti del futuro?
«Come è stato illustrato dal report World Economic Forum sul futuro del mondo del lavoro, ci sono due principali set di competenze che saranno critiche nei prossimi cinque anni. Un primo riguarda la competenza digitale, legata alla capacità di usare le nuove tecnologie e lavorare con i dati. Un secondo, che dovrà necessariamente accompagnarsi al primo, è connesso alle competenze trasversali, come il pensiero critico, la creatività, la leadership e la capacità di motivare gli altri, l'adattabilità, la curiosità, l’apertura al cambiamento e alla formazione continua, tutte necessarie ad abilitare un uso attento, efficace e responsabile delle nuove tecnologie digitali».
Nel contesto attuale, quanto conta ancora il “sapere” accademico tradizionale rispetto alle competenze trasversali e all’apprendimento continuo (lifelong learning)?
«Un articolo di Ethan Mollick, uno dei principali studiosi delle applicazioni dell'intelligenza artificiale, mostra che gli strumenti di Ia generativa sono già oggi in grado di completare con successo i principali test accademici in tutte le discipline. Ciò significa che dobbiamo seriamente rivedere i processi di apprendimento. Le competenze accademiche restano importanti perché rappresentano la base per capire e interpretare i risultati che sono generati dall’Ia e per interrogarla in modo corretto, ma non saranno più differenzianti come fino a qualche tempo fa. Saranno, altresì, sempre più rilevanti le competenze trasversali. La capacità di prendere decisioni, di gestire l’organizzazione, di generare soluzioni creative a problemi complessi sono e resteranno competenze non replicabili dalla tecnologia e che permetteranno alle persone di continuare a generare valore. Nella nostra visione, l'intelligenza artificiale non sostituisce la persona nel processo decisionale, ma può aiutarla a prendere decisioni migliori».
L’Italia è ancora lontana dai livelli europei per numero di laureati, soprattutto nelle discipline STEM. Come si può superare questo gap e rendere più attrattive le carriere scientifiche per i giovani?
«Sulle discipline STEM abbiamo un gap tra numero di laureati e richiesta da parte delle aziende. Questo significa che il nostro sistema non sempre orienta i giovani verso le discipline che oggi sono più rilevanti per il mercato del lavoro. La Luiss ha da tempo compreso l’importanza della formazione nel campo delle nuove tecnologie e, pertanto, sente forte l’esigenza di avvicinare i giovani all’uso degli strumenti dell’Ia con percorsi dedicati, necessari ad affrontare con maggiore efficacia il modo del lavoro».
Molte imprese italiane, soprattutto Pmi, faticano ad attrarre e trattenere talenti digitali. Qual è il ruolo che una business school come la vostra può giocare per colmare questo divario tra domanda e offerta di competenze?
«In Luiss Business School lavoriamo al fianco delle imprese, attraverso la formazione delle persone – in una prospettiva di apprendimento continuo – e lo sviluppo di attività di ricerca applicata e consulenza dedicate. Riteniamo che il nostro compito, in un contesto dove i cambiamenti avvengono a una velocità mai vista precedentemente, sia quello di collaborare con tutte le aziende, supportandole dove utile nei processi di cambiamento e trasformazione e lavorando insieme sulla frontiera dell’innovazione».
Chi sono gli allievi della Business School? Quali motivazioni li spingono a frequentare un Master? Quali discipline sono più richieste?
«La Scuola copre l’intero ciclo della formazione post-laurea. Abbiamo giovani e giovanissimi che hanno completato un percorso di laurea e iniziano un nuovo percorso di formazione specialistico per affrontare con competenze più solide il mondo del lavoro. Ci sono i programmi Mba, in formato full time o part time, frequentati da professionisti con esperienza di lavoro che hanno l’obiettivo di acquisire una visione trasversale e completa del mondo delle aziende per dare un’accelerazione alle proprie carriere. C’è poi l’Executive Education destinata a persone che hanno l’obiettivo di approfondire temi specifici delle proprie professioni. Quindi abbiamo pubblici, motivazioni e fasi di carriera diverse. I temi più richiesti sono sempre quelli fondanti dell’azienda e quindi la strategia, l’organizzazione, la finanza e il marketing, ma registriamo un interesse sempre più forte per i percorsi legati alle nuove tecnologie digitali nei diversi ambiti organizzativi e settoriali, alla sostenibilità e alle skill trasversali».
L’intelligenza artificiale sta cambiando non solo il contenuto dei lavori, ma anche i modelli di leadership e organizzazione. Come si preparano i futuri leader a gestire questa complessità?
«La questione fondamentale riguarda il ruolo che l’intelligenza artificiale può assumere all'interno delle organizzazioni, soprattutto nel momento in cui ci muoviamo verso il possibile sviluppo di agenti Ia che sono in grado di svolgere dei task autonomi in collaborazione con gli umani all’interno di un gruppo di lavoro integrato. La grande domanda è se, a un certo punto, l’intelligenza artificiale sarà in grado di assumere tutti i ruoli, compreso paradossalmente quello di amministratore delegato, diventando capace di prendere decisioni più efficaci di quelle che può prendere un umano. A oggi chi gestisce un’organizzazione complessa ha il compito di integrare l’intelligenza artificiale nei processi decisionali non per sostituire, ma per rafforzare il ruolo delle persone, in un’ottica di complementarità e rafforzamento reciproco».
Spesso si parla di “competenze umanistiche” come fattore distintivo nell’era digitale. Quanto è importante oggi saper coniugare cultura tecnica e visione critica del mondo?
«Come Business School lavoriamo all’intersezione tra la tecnologia e l’organizzazione, perché se la tecnologia è sviluppata senza tener conto di quelli che sono i suoi potenziali usi, rimane priva di impatto. Al tempo stesso, le aziende non possono ignorare gli effetti delle tecnologie digitali, perché se queste non sono incorporate rapidamente e correttamente, rischiano di perdere competitività. Nostro compito è quello di fare in modo che le organizzazioni siano consapevoli dell'impatto e degli usi della tecnologia per poterla utilizzare al meglio, modificando processi e strategia e mantenendo una continua apertura alla formazione e al cambiamento».
Alla Business School della Luiss come affrontate la problematica dell'etica e del pensiero critico nei confronti dell'intelligenza artificiale?
«In Business School incentiviamo non solo i nostri studenti, ma anche i nostri docenti a un utilizzo critico e trasparente dell’Ia. A tal fine abbiamo creato un Ia Handbook a disposizione di docenti, faculty e staff per illustrare principi e criteri per l’integrazione dell’Ia nei contenuti, nei metodi di insegnamento e nei momenti di verifica. In un'ottica sistemica di lungo termine, il rischio principale è che l’uso dell’Ia, soprattutto per le generazioni più giovani, possa portare a una perdita di capacità di ragionamento analitico e di allenamento al pensiero creativo. Questo è un tema che dovrà essere affrontato in modo attento ed equilibrato dal sistema educativo, fin dalle basi, con lo sviluppo di percorsi formativi che introducano l’Ia in modo progressivo, critico e responsabile».
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