Economia
28 luglio, 2025Il quantitativo di gas previsto è nettamente superiore a quello utile ad alimentare la centrale elettrica, che avrebbe un costo da 1,5 miliardi di euro, da accollare all'acquirente. In più l'acciaio prodotto non avrebbe la qualità necessaria per fornire l'industria della difesa
Quella che fino a pochi anni fa era l’acciaieria più grande d’Europa, l’ex Ilva, è al centro di un balletto industriale surreale. L’azienda, che versava in pessime condizioni durante la gestione Arcelor Mittal, è entrata in amministrazione straordinaria e il ministro Urso ha aperto una gara per cedere l’impianto a un nuovo imprenditore. La scelta è ricaduta sugli azeri di Baku Steel, piccolissima acciaieria del Caucaso, che però – quando ha percepito tutte le difficoltà di realizzazione del rigassificatore nel mare di Taranto – ha fatto marcia indietro. Dunque, Urso ha indetto una nuova gara, l’ennesima, confidando in chissà quale altro cavaliere bianco disposto a investire in un onerosissimo piano industriale per rilanciare il siderurgico a Taranto. Le voci non si sprecano: da un lato si parla dell'interesse di Jindal per l'intero impianto e le sedi del Nord; dall'altro la Marcegaglia, che già in passato si era affacciata sull'Ilva favorendo l'ingresso (disastroso) di Arcelor Mittal, vorrebbe fare propro il laminatoio di Genova, favorendo l'idea della vendita spezzatino.
Attualmente si sa che il piano prevede di spegnere gli altiforni e passare alla produzione di acciaio da preridotto, attraverso l’installazione di tre forni elettrici a Taranto, da alimentare attraverso una super centrale elettrica, e un quarto forno elettrico a Genova. Tuttavia il piano di Urso fa acqua, a partire dal fatto che nessuno – tanto meno il ministero – ha idea di come reperire il minerale di ferro di elevata qualità necessario ad alimentare i preriduttori da installare.
Di più, i documenti del governo indicano una necessità di 3,1 miliardi di metri cubi di gas per accendere i preriduttori, ma con una simile quantità si produrrebbero 12 milioni di tonnellate di acciaio, anziché le 6 a cui si vorrebbe portare l’impianto tarantino (più due a Genova). E le altre 4 milioni di tonnellate? Carlo Mapelli docente del Politecnico di Milano mostra perplessità: «Si intravede un approccio basato sulla presentazione di numeri mirabolanti, ma non si scorge il disegno e la prospettiva industriale, in quanto prescinde dalla reale domanda di acciaio. In realtà, nei contesti siderurgici delle economie avanzate è necessario commisurare in modo appropriato la produzione con la richiesta dei settori che devono essere approvvigionati. La tendenza generale non è quella di aumentare i volumi ma di produrre acciai di qualità superiore e meglio rispondenti alle esigenze specifiche degli utilizzatori. Per inserirsi in questa prospettiva è necessario investire adeguatamente negli stadi a valle della solidificazione dell’acciaio non tanto spingere sui volumi prodotti». Questo fa pensare che le stime energetiche siano state gonfiate per favorire l’installazione della nave rigassificatrice al porto di Taranto e far digerire ai tarantini l’ennesimo scempio ambientale.
Il piano, inoltre, prevede una centrale elettrica a gas con ciclo combinato da 1500MW dal costo di 1,5 miliardi di euro. Dovrà essere costruita dall’investitore, senza alcun contributo pubblico perché le centrali a combustibili fossili non possono essere finanziate con denaro statale. Se l’acquirente non la costruisse, non potrebbe fornire energia elettrica a prezzi calmierati all’impianto stesso, in quanto si tratterebbe di una distorsione del mercato e sarebbe discriminatorio nei confronti degli altri produttori siderurgici nazionali.
Anche l’idea di far ripartire la produzione industriale con 8 milioni di tonnellate di acciaio per sostenere la produzione di armi sembra essere fuori luogo perché l’industria degli armamenti non utilizza acciai ad alta duttilità, ma acciai speciali ad alta resistenza che non necessitano di partire da minerali. L'impressione è che si tenti di far passare l’Ilva fra le spese per la difesa, quando invece si tratta di un tentativo di finanziare a debito azioni per cui non c’è altra fonte di finanziamento. Tanto più che, nel frattempo, il mercato dell’acciaio si è organizzato diversamente: Marcegaglia ha avviato la produzione di 2,5 milioni di tonnellate d’acciaio a Fos-sur-Mer, in Francia; e da Piombino verranno altre 2,8 milioni di tonnellate.
L'appello di Riondino
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