Il principio per cui cittadini e imprese non devono fornire dati che lo Stato ha già resta un sogno. Con l’infrastruttura per creare il wallet ancora incompleta, su Spid va in scena un pasticcio politico

È una crisi d’identità. Ma digitale

Nasce nostro figlio e ci arriva il bonus dallo Stato. Subito, senza bisogno di chiederlo. Basta burocrazia asfissiante per le aziende: non serve più che dimostrino di avere diritto a un incentivo o partecipare a una gara. Sveglia: tutto questo è ancora un sogno, in Italia. «Un sogno, ma non durò poco», canterebbe Fabrizio De André. Lo scorso marzo ha compiuto vent’anni il principio, mai realizzato, dello once only: è nel primo, visionario, Codice dell’amministrazione digitale italiano. Ossia il diritto di cittadini e aziende di non essere obbligati a fornire dati che lo Stato già possiede. «Principio poi confermato dal decreto Madia del 2016», ricorda Eugenio Prosperetti, avvocato tra i primi a seguire i temi della Pa digitale.

 

Se ancora la burocrazia fa soffrire (e frena il Pil italiano, secondo Ocse e Banca d’Italia), i motivi sono molti. Non c’è solo la classica resistenza della Pa. Di base, è ancora incompleta l’infrastruttura per mettere assieme le informazioni su cittadini e imprese, per verifiche, controlli incrociati. L’obiettivo è costruirla entro il 2026, con i fondi Pnrr. Una parte di questo progetto è il wallet (portafoglio) digitale italiano ed europeo, a cui possiamo accedere con l’identità digitale pubblica e che conterrà tutti i nostri documenti.

 

Bene: ma qui si complicano le cose. Complici le scelte ondivaghe della politica, il sogno vacilla e comincia ad assumere i contorni di un incubo. Prova ne è il pasticcio emerso a giugno su Spid. Lo Stato ha promesso che Spid sarebbe stato gratuito per sempre per i cittadini. Non più: lo fanno pagare Infocert e Aruba, dal secondo anno di abbonamento. Con quasi tutti i fornitori costano anche le modalità più comode per attivare Spid. A giugno, appunto, Infocert ha messo in piazza i motivi: è costretta a fare pagare, perché lo Stato non ha ancora dato ai fornitori del servizio i 40 milioni di euro necessari a coprire almeno parte dei costi per lo stesso, ora erogato in perdita. Il principale fornitore di Spid (per circa il 70 per cento) è Poste Italiane.

 

In origine c’era l’idea di dare 150 milioni di euro a Spid, scesi però a 40 con decreto del 2023. Poi due anni di buio: solo a marzo 2025 il decreto attuativo che sblocca i fondi. A giugno, poi, l’ulteriore sblocco dalla Corte dei Conti. Quindi li hanno dati, finalmente, questi soldi? Macché. Ora arriva un acconto da 100mila euro, spiegano dall’Agenzia per l’Italia digitale (Agid), l’ente tecnico pubblico che gestisce Spid ed eroga i fondi; poi una tranche del 20 per cento il prossimo settembre. Il resto a scaglioni bimestrali, al raggiungimento di certi obiettivi da parte dei fornitori.

 

La minaccia è seria, perché i fornitori potrebbero anche decidere di chiudere il servizio: a luglio scade la convenzione con lo Stato. E Spid è irrinunciabile: rappresenta il 95 per cento degli accessi con identità digitale in Italia. Il restante 5 per cento è tramite CieID (carta d’identità elettronica), sistema mai decollato, nonostante questo governo l’abbia spinto fin da subito. Anzi, da prima: Alessio Butti, sottosegretario all’Innovazione, lo sponsorizzava a scapito di Spid quando era ancora un parlamentare di minoranza (Fratelli d’Italia). Cie è strumento sovranista perché, a differenza di Spid, è gestito dallo Stato. Non c’è così da sorprendersi per lo stallo dei fondi durante il governo di Giorgia Meloni. Tuttavia, è molto probabile che i fornitori, in cambio di questi soldi, firmeranno il rinnovo di Spid fino al 2027 (prorogabile per altri tre anni), in accordo con il governo, a quanto risulta da fonti che lavorano al dossier.

 

La situazione dell’identità digitale italiana resta incerta. E, con questa, lo rimangono anche il famoso wallet e il taglio alla burocrazia. Di fondo c’è che il governo tifa ancora per la Cie. Lo confermano le dichiarazioni di Butti (che ha rifiutato l’intervista con L’Espresso) a “Telco per l’Italia” di giugno (organizzato da CorCom). Ha detto che «i cittadini e le imprese possono finalmente arrivare alla carta d’identità elettronica, che diversamente da Spid è indicata anche a livello europeo, è molto più sicura ed è gratuita». L’unico punto di verità è che Spid da qualche anno è strumento di truffe. I criminali lo attivano a nostro nome, grazie a documenti clonati, e lo usano per accedere a siti istituzionali (come l’Inps). Da lì dirottano sui loro conti la nostra pensione, lo stipendio da dipendente pubblico o altri soldi che ci spettano dallo Stato. «Il problema è che è possibile attivare Spid con modalità meno sicure rispetto alla Cie: anche mostrando in webcam documenti che possono essere finti», spiega Dario Fadda, esperto di cyber security. Per il resto: ma quale Cie gratis? Averla costa quanto circa quattro anni di Spid. E buona fortuna a chi la vuole: le liste d’attesa possono arrivare a un anno. «T’immagini se chiudono Spid? Il giorno dopo folle di persone che intasano i Comuni per attivare la Cie. Sarebbe una sciagura politica e Butti lo sa bene», commenta uno degli autori della legge che ha creato Spid («Non mi citare, me ne sto alla larga»).

 

Lo stesso wallet è un caos. Gli italiani, ascoltando gli annunci del governo, si saranno convinti che ce l’abbiamo già da qualche mese; è dentro l’app statale “Io” e contiene la nostra patente di guida. In realtà, quello è solo un assaggio: devono ancora arrivare i decreti attuativi e le linee guida Agid per il vero wallet, rivoluzionario per servizi, in linea con l’Ue. Le parole di Butti all’evento CorCom tradiscono il desiderio di permettere l’accesso al vero wallet “europeo” solo tramite Cie. Da Agid, invece, dicono a L’Espresso che il decreto permetterà anche l’uso di Spid nella modalità più sicura (anti-truffa), ora poco usata, ma già possibile. Anche la Cie ha una modalità light di utilizzo e una più sicura (la sola permessa dall’Europa per il wallet e un’identità digitale europea), per l’accesso ai servizi online. Quest’ultima richiede che l’utente inquadri la carta con il proprio cellulare, ma è notorio che spesso il sistema si inceppa: «Il chip delle Cie emesse nei primi anni funziona male con i cellulari, come mostrano studi commissionati dal Poligrafico dello Stato», spiega una fonte che collabora con il governo sul tema. 

 

È giusto l’ultimo tassello che mancava per completare il pasticcio. E adesso? La prognosi è riservata. La nuova convenzione e lo sblocco dei soldi mostrano la volontà politica di prendere tempo e di vincolare i fornitori Spid al sistema. Nella speranza che Cie maturi, prima o poi. «Con il wallet europeo non saremo più noi a chiedere il bonus asilo, ad esempio, ma sarà l’Inps a mettere tutti i dati necessari nel nostro portafoglio digitale. Basta domande, autocertificazioni», spiega Francesca Niola, giurista esperta di digitale e ricercatrice all’Università Federico II di Napoli: «Il wallet sostituirà i documenti anche per concorsi pubblici, selezioni professionali. Un italiano potrà utilizzare il proprio diploma digitale per iscriversi a un’università francese o la patente per noleggiare un’auto in Spagna. Per le aziende, poi, sarà una svolta: il wallet digitalizzerà l’accesso al credito e alle gare a livello europeo. L’istituto di credito, l’ente appaltante o un partner commerciale potranno consultare quanto serve, in autonomia e in sicurezza, nel nostro wallet». Bellissimo: se poi l’Italia arriverà a ottenere chiarezza politica e vera collaborazione tra i soggetti interessati, magari potrebbe persino riuscire a realizzare questo sogno. Il principio per cui cittadini e imprese non devono fornire dati che lo Stato ha già resta un sogno. Con l’infrastruttura per creare il wallet ancora incompleta, su Spid va in scena un pasticcio politico

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