Economia
20 agosto, 2025La dipendenza finanziaria come arma per esercitare dominio. Una persona su tre accolta dalla Rete Dire è disoccupata. Il 44 per cento di lavoratrici o pensionate non ha un reddito sicuro
Uomini che limitano l’accesso delle loro partner ai conti bancari, che controllano in modo esclusivo i soldi a disposizione e impongono alle donne di non lavorare stanno usando la dipendenza economica come un’arma. In Italia, almeno una donna su tre che si rivolge a un centro antiviolenza subisce violenza economica. In base ai dati del 2024 raccolti dalla Rete Dire, composta da 87 organizzazioni che gestiscono centri antiviolenza e case rifugio affiancando oltre 20.000 donne ogni anno, quella economica è la terza forma di violenza di genere più diffusa dopo gli abusi psicologici e i maltrattamenti fisici. Seguono i casi di violenza sessuale e stalking. Anche per questo motivo, oltre a servizi di accoglienza, ascolto e consulenza legale, quasi tutti i centri offrono percorsi di orientamento al lavoro.
Nel 2024 a livello nazionale sono state accolte complessivamente 23.851 donne, 800 in più rispetto al 2023. Considerando le disoccupate, le casalinghe e le studentesse, quasi una su tre non ha alcun tipo di lavoro. Ma il tema non riguarda solo le donne senza occupazione: appena il 44% delle donne lavoratrici o pensionate, infatti, può contare su un reddito sicuro. Rispetto agli anni precedenti, quando questa percentuale era del 37% nel 2022 e del 41% nel 2023, si osserva un trend che cresce in modo costante. La maggior parte delle donne disoccupate accolte nei centri si trova in Campania, Puglia e Sicilia, regioni in cui superano il 30%, mentre nel resto della penisola le donne senza lavoro restano sotto la soglia del 23%.
Secondo la Rete Dire: «Le forme di violenza esercitata sulle donne sono multiple e di varia natura e sono anch’esse consolidate nel tempo, a conferma della struttura della violenza maschile sulle donne». Così come sono molteplici le caratteristiche delle donne oppresse che rendono la violenza di genere intersezionale e il suo impatto distribuito in modalità differenti. Le donne rifugiate e richiedenti asilo, per esempio, sono più esposte a violenza psicologica, fisica ed economica. Lo scorso anno, un’utente su quattro accolta nei centri antiviolenza era di origine straniera. Se la percentuale della violenza psicologica subita da questa categoria è in linea con la totalità dei casi esaminati (83%), la percentuale della violenza fisica registrata è stata maggiore (il 78% rispetto al 54% del totale) così come la violenza economica (il 43% rispetto al 34%).
Se si guarda poi alle donne con disabilità, quelle che si sono rivolte a un centro antiviolenza sono state nel complesso 348. La maggioranza è stata accolta nel Nord Italia, dove la loro presenza nei centri è aumentata rispetto a due anni fa. Il 32% sono donne con disabilità motoria, seguite da utenti con disabilità intellettiva (20%) e donne con disabilità sensoriale (10%), mentre il 38% ha un’altra tipologia di disabilità.
Il profilo di chi maltratta negli ultimi anni è rimasto costante. Si tratta sempre più spesso di un uomo con un’età compresa tra i 30 e i 59 anni, che ha un lavoro stabile e in tre casi su quattro è di origini italiane. È quasi sempre incensurato e raramente ha precedenti per violenza (7% dei casi) o ha subito delle condanne (4%). Ad agire violenza, poi, è nel 74% dei casi una persona che ha un qualche tipo di relazione con la donna. Si tratta soprattutto del partner (50%), dell’ex (25%) e di un familiare (9%) mentre solo nel 2% dei casi si tratta di un estraneo. Seppur con un lieve incremento, resta basso il numero delle donne che decidono di denunciarlo: il 32% nel 2024, contro il 28% del 2023.
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