Economia
3 settembre, 2025Per tutelare bambini e adolescenti sui social network si pensa d’innalzare i limiti d’età per l’accesso. Servono, però, anche strumenti di controllo efficaci ed educazione. Pure per le famiglie
Tra le principali sfide che la società odierna si trova ad affrontare emerge quella della gestione dell’impatto della tecnologia nel quotidiano dei bambini e degli adolescenti. Oggi il dibattito normativo e culturale si concentra, in particolare, sul gioco virtuale e sull’accesso ai social media da parte dei minorenni.
In Italia, la normativa fissa l’età minima per l’iscrizione ai social network a 14 anni, ma diversi disegni di legge in discussione in Parlamento propongono di alzare la soglia a 16 anni, prevedendo sistemi di verifica dell’età e maggiori responsabilità per le piattaforme digitali.
Il Garante per la Protezione dei dati personali sostiene l’innalzamento del limite di età, l’obbligo di strumenti di controllo efficaci e la tutela dei «baby influencer», oltre al diritto per i minori di rimuovere contenuti lesivi. Al contempo, il Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza invita a educare le famiglie all’uso consapevole della tecnologia, integrando strumenti di parental control nei percorsi scolastici.
Una tendenza che segue l’esempio di altri Paesi: in Europa, la Francia ha introdotto il concetto di «maggiore età digitale» a 15 anni, mentre il Regolamento europeo sui servizi digitali (Digital Services Act) spinge per controlli sempre più stringenti sulla protezione dei minori online. In Australia, il legislatore ha deliberato misure tra le più rigide al mondo: con l’Online Safety Amendment Act 2024, dal dicembre 2025 sarà vietato creare account su Facebook, Instagram, TikTok, Snapchat, X e persino YouTube a minori di 16 anni, indipendentemente dal consenso dei genitori. Le piattaforme devono adottare sistemi di verifica dell’età o scattano multe fino a 49,5 milioni di dollari.
YouTube era inizialmente esclusa, ma la nuova decisione, basata su dati del regolatore che mostrano che il 37 per cento dei minorenni ha incontrato contenuti dannosi su questa piattaforma, ha portato alla sua inclusione nella restrizione.
In tempi di iperconnessione, di cui i cosiddetti nativi digitali sono protagonisti attivi, c’è da chiedersi se le imposizioni normative possano realmente fare la differenza o, piuttosto, se rischino di rimanere lettera morta senza un’educazione più incisiva sull’utilizzo delle piattaforme e una cultura della consapevolezza e del pensiero critico per capire e comprendere il concetto di Community online. L’equilibrio si costruisce armonizzando tendenze digitali e valori analogici, trasformandole in un’unica direzione di progresso condiviso.
La preoccupazione crescente riguarda, in primis, il tempo e le modalità in cui i minori trascorrono una parte consistente del loro tempo libero all’interno di ambienti digitali complessi, spesso senza mediazione adulta. Giochi online, piattaforme di video brevi, app di messaggistica e social network creano ecosistemi chiusi, dove l’interazione diventa frenetica, istantanea e spesso fuori controllo. Il gioco, che da sempre rappresenta un motore educativo e relazionale, oggi rischia di diventare consumo rapido e ripetitivo, alimentato da dinamiche algoritmiche e stimoli compulsivi.
I pericoli legati ai social network e al gioco virtuale sono decisamente concreti: accesso a contenuti inappropriati, contatti con sconosciuti, pratiche predatorie, esposizione pubblicitaria, dipendenze digitali. Il tutto spesso celato in piattaforme apparentemente ludiche e creative, finite anche sotto accusa per contenuti non moderati, spese nascoste, modelli di business poco trasparenti.
Dietro lo schermo, un mondo che gli adulti non vedono. Anche quando si pensa di avere tutto sotto controllo con filtri, timer, parental control, bambini e adolescenti abitano spazi segreti del virtuale: chat effimere, profili-ombra, algoritmi che parlano la loro lingua e li tengono connessi in una solitudine rumorosa.
Lasciare sole le famiglie potrebbe essere un errore storico, servono alleanze concrete tra scuola, istituzioni e piattaforme, strumenti semplici e responsabilità chiare. Proteggere le famiglie significa proteggere le menti di chi verrà dopo di noi, non per paura della tecnologia, ma per restituirle un senso umano.
Nel frattempo, stanno per essere lanciati sul mercato – giusto in tempo per Natale – i primi giochi “intelligenti”, bambole che interagiscono attivamente e giocattoli capaci di dialogare e anche di aiutare i bambini.
In attesa di verificare l’impatto che queste applicazioni dell'Intelligenza artificiale avranno sull’infanzia, sta parallelamente emergendo il “contro-movimento” del ritorno al gioco manuale, creativo, fisico, al “giocare bene”, per attraversare le trasformazioni senza perdere la propria identità e rimanendo ancorati a un modello di apprendimento attivo e costruttivo.
In un’epoca di notifiche continue e contenuti usa e getta, il valore educativo di giochi “lenti” e tangibili è un antidoto potente contro la dispersione dell’attenzione e il disorientamento emotivo.
Un forte richiamo in questa direzione è arrivato anche da papa Leone XIV in occasione del Giubileo dei Giovani. Davanti a una folla di giovani provenienti da tutto il mondo, il Papa ha messo in guardia contro la frammentazione dell’identità umana online, sottolineando che «non si tratta semplicemente di generare contenuti, ma di creare un incontro tra i cuori». Ha invitato i ragazzi a non misurare il proprio valore in follower o like, ma a coltivare relazioni autentiche, concrete, solidali. Un messaggio potente, che restituisce dignità al tempo speso insieme, al gioco condiviso, alla costruzione lenta e paziente di legami veri.
Il futuro dei più piccoli si gioca oggi: tra schermi e mattoncini, tra velocità e lentezza, tra tendenze divergenti che solo un’azione collettiva può trasformare in equilibrio e relazioni autentiche.
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