Quella che le vittime di violenza ci raccontano è una società malata e si deve intervenire a tutti i livelli per curarla e sanarla. La sopraffazione non è, e non può essere, un luogo comune. Mentre, al contrario, l’abuso rimane spaventosamente comune

La violenza contro le donne e le ragazze è una delle violazioni dei diritti umani più diffuse, persistenti e devastanti nel mondo di oggi. Rimane in gran parte non denunciata a causa dell’impunità, del silenzio, dello stigma e, purtroppo, della vergogna che la circondano. E si manifesta in forme fisiche, sessuali e psicologiche.

 

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha definito nel 1993 la violenza contro le donne come «qualsiasi atto di violenza di genere che provochi, o sia suscettibile di provocare, violenza fisica, sessuale o danni o sofferenze psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia che si verifichino nella vita pubblica che in quella privata».

 

Questa violenza, registrata quotidianamente, continua a essere un ostacolo al raggiungimento dell’uguaglianza, dello sviluppo, della pace, nonché al rispetto dei diritti umani delle donne e delle ragazze.

 

Occorre sapere che negli ultimi due anni il 45 per cento delle donne ha riferito ad associazioni o gruppi che si occupano di difenderle, che loro o una ragazza che conoscono, hanno subito una forma di aggressione. E sette donne su dieci hanno affermato di pensare che l’abuso verbale o fisico da parte di un partner sia diventato più comune. Mentre sei su dieci hanno ritenuto che le molestie sessuali negli spazi pubblici siano peggiorate. Sono dati che devono portarci a riflettere che questa che le vittime ci raccontano è una società malata e si deve intervenire a tutti i livelli per curarla e sanarla.

La campagna
Da “l’uomo è cacciatore” a “donna-danno”. La violenza dei luoghi comuni
18/11/2022

Pochi mesi fa è stata aperta al pubblico una mostra d’arte nella sede delle Nazioni Unite a New York dal titolo: “Cosa indossavi?”. Si rifà alla domanda che spesso viene rivolta alle vittime di violenza sessuale come a insinuare una qualche responsabilità, quasi a voler accennare che l’aggressione non si sarebbe verificata se la donna si fosse vestita in altro modo. Una domanda velenosa che porta quasi a giustificare qualsiasi forma di violenza in base all’abito indossato.

 

Una domanda troppo spesso utilizzata per provare a incolpare le sopravvissute del crimine perpetrato nei loro confronti. Una mostra, in una sede istituzionale mondiale, con gli abiti indossati dalle donne quando sono state vittime di aggressione. Un’installazione che provoca brividi ma vuole sfatare gli stereotipi su quello che le donne subiscono.

 

La violenza non è, e non può essere un luogo comune. Mentre, al contrario, la violenza contro le donne rimane spaventosamente comune.

 

Si deve partire dalla scuola, dai più giovani, per iniziare a inculcare valori sani a tutela delle ragazze. Chiedo ai presidi, ai docenti, di fare un ulteriore sforzo per formare studenti che diano valore alla vita sociale e recuperare chi sta indietro. Gli insegnanti possono far comprendere agli studenti il rispetto per le adolescenti durante le lezioni. E gli allenatori sportivi possono insegnare ai ragazzi che i veri uomini non feriscono le donne.

 

C’è tanto ancora da fare.

 

A partire dal fatto che la violenza non può essere giustificata e tantomeno coperta da luoghi comuni.