Editoriale
Il divario tra Nord e Sud è un’ipoteca sul futuro
Fuori dall’agenda dei partiti, è centrale nell’analisi di Bankitalia. Racconta della fuga dei cervelli da un Meridione sempre più povero di opportunità
Dalla Sicilia alla Lombardia, dall’Italia all’estero, può essere ancora considerata per i giovani una strada di solo andata? Perché c’è ancora una frattura economica e geografica nel nostro Paese. Il Meridione, saccheggiato dai partiti durante la campagna elettorale, viene dimenticato dopo ogni voto politico. Lo è stato sistematicamente fino adesso. E i giovani continuano a cercare fuori dal loro territorio un equo compenso per le competenze e il lavoro a cui possono essere impiegati.
Il risultato elettorale che ha dato vita a questa ultima legislatura ha tracciato una divisione che non si riscontrava dal referendum istituzionale del 1946, quando il Sud monarchico si contrappose al Centro-nord repubblicano, prima plastica rappresentazione di quelle due Italie postunitarie che durante il periodo fascista si erano ancora di più distanziate.
C’è una netta divergenza di interessi e di condizioni di vita lungo l’asse Nord-Sud, lungo la stratificazione di quella divisione economica che dopo il 1861 non ha trovato mai un definitivo superamento. Anzi, nonostante i tentativi fatti di mitigarla durante il trentennio d’oro dell’economia italiana (1950/1980) si è ancora di più ampliata dopo il ventennio di egemonia berlusconiano-leghista. La divisione Nord-Sud si sta dimostrando il dato di maggiore continuità della nostra storia, il caso di maggiore insuccesso, l’elemento determinante della nostra fragilità di nazione.
Il divario, come scrive la Banca d’Italia nel rapporto dedicato al tema, si è ampliato nel decennio 2010-2020. «La questione meridionale è diventata ancor più chiaramente parte di una più ampia questione nazionale», scrive l’istituto centrale, che analizza come al Sud «il settore privato, già fortemente sottodimensionato rispetto al peso demografico dell’area, si sia ulteriormente contratto e presenti ora una composizione ancora più sbilanciata verso attività produttive a minore contenuto di conoscenza e tecnologia e a più bassa produttività». Ma c’è pure una questione di moralità che deve essere alla base della società.
Su questi punti si muove la conversazione sul Paese tra il grande fotografo Giuseppe Leone e lo stilista Domenico Dolce che ho voluto in apertura del giornale, perché interpreta la realtà, il periodo che stiamo attraversando, tutto questo in linea con un’informazione di opinione e d’intervento. I protagonisti del dialogo sono entrambi siciliani ma con esperienze di vita e professionali diverse. Uno è attaccato alla sua terra da dove non è mai voluto andar via, l’altro è un artista di successo mondiale ottenuto dopo aver lasciato l’isola. I problemi di cui discutono sono attuali e la loro esperienza permette di suggerire soluzioni.
Dallo scempio edilizio e ambientale al lavoro, dalla burocrazia nemica dell’imprenditoria, all’immigrazione e l’integrazione da sostenere, la globalizzazione, il commercio, fino alla borghesia e quindi alla politica e alla classe dirigente che si continua a mostrare scadente, sono le linee guida della conversazione sul Paese. Perché nessuno deve essere discriminato, e l’esperienza e la capacità di ognuno possono aiutare a non far restare indietro alcuno. Come ha detto il premier Mario Draghi al meeting di Rimini rivolgendosi ai giovani: «Vivete la politica soprattutto come testimonianza di una vita coerente con gli ideali, sperate, combattete e costruite. Voi giovani siete la speranza della politica». La fiducia nel futuro sarà la nostra forza.