La società si è rivelata molto diversa da come l’avevano immaginatai progressisti. Un partito veramente rinnovato non può non assumersi il compito di ascoltare e rappresentare le categorie più deboli

Un lettore, più addolorato che arrabbiato, ha scritto a L’Espresso: «Oggi fare la sinistra è molto più difficile poiché paradossalmente nel tempo delle maggiori ingiustizie sociali non se ne sente più la necessità». Il popolo della sinistra vuole cambiamenti. L’elezione di un nuovo segretario dei democratici, conseguente alle dimissioni di Enrico Letta, può essere solo il primo passo in direzione di un rafforzamento sociale, culturale e politico del Pd e della sinistra.

 

Il risultato delle elezioni del 25 settembre parla chiaro. C’è grande sfiducia a sinistra, una sfiducia che nasce innanzitutto da una crisi di identità. La sinistra non sa più bene cosa vuole, non riesce più a dire in positivo che cosa e dove vuole andare. È una sinistra che non rispecchia i problemi sociali e territoriali in cui vivono o lavorano i propri elettori, ma soprattutto i cittadini. Non si tratta solo di chiarire meglio i programmi, la sinistra ha bisogno di ritrovare le grandi questioni di principio, e di tornare a crederci. Occorre ricominciare da un’interpretazione realistica della società.Spero che questo sia il compito principale che si darà il prossimo congresso del Pd: capire la società, quella che si è rivelata così diversa da come i progressisti l’avevano immaginata.

 

C’è una sfida da lanciare, a sinistra, e riguarda proprio il voler rispecchiare il territorio e i problemi che vengono posti alla politica. Per poter dare soluzioni alle esigenze di chi ha problemi occupazionali o di chi abita non solo nel centro delle città, ma soprattutto nelle periferie, dove si conquista, voto su voto, il consenso. Voglio ripetermi: è la politica dei piccoli passi e delle grandi mete. È una sinistra «provata», dove «provata» significa: l’abbiamo «provata», «sperimentata», ora sappiamo davvero com’è, non ci resta davvero più niente da scoprire, il tempo delle illusioni è finito, dobbiamo ripartire dalla dura realtà; oppure «affaticata», «esaurita», anzi «esausta». Insomma, il fondo del barile è stato raschiato. Il Pd dopo tanti anni al governo, ha smesso di sapere come si vince, e forse anche di desiderarlo.

 

Le responsabilità sono politiche, non sociali né antropologiche. Metà del Paese, forse, si è “melonizzata”; ma metà, almeno, reagisce in modo scomposto. E quindi, per tornare alla domanda iniziale del lettore, serve una «sinistra» all’Italia? Il Paese è a un avanzato livello di sviluppo, ma con perduranti gravi squilibri economici, sociali, strutturali e di organizzazione del sistema politico, ed è in una fase in cui aumentano le esigenze di rappresentanza sociale delle categorie deboli, che vanno dal pensionato al giovane precario. Non può non esistere un partito (anche se il termine è stato ormai eliminato) che si assuma dichiaratamente questa rappresentanza, in termini diversi, più dinamici, di quelli sindacali.