Che vinca Bonaccini o che vinca Schlein, le primarie potrebbero segnare la fine del Pd così come lo abbiamo conosciuto

La contesa per la guida del partito potrebbe provocare la nascita di due movimenti contrapposti, attirati da una parte da Calenda e Renzi e dall’altra da Conte. Sarebbe un danno non solo per la sinistra ma per tutto il Paese

Il 19 febbraio i militanti e i simpatizzanti del Pd si ritroveranno ai gazebo per votare il nuovo segretario. Ma che vincano i liberal-riformisti che fanno capo a Stefano Bonaccini o i progressisti rappresentati da Elly Schlein (gli altri due concorrenti Paola De Micheli e Gianni Cuperlo sembrano solo degli outsider) resterà comunque il problema di fondo, che da tempo corrode le radici del Pd. Esisterà ancora il Partito Democratico come l’abbiamo conosciuto negli ultimi anni? Finora le diverse anime del partito si sono in qualche modo accomodate nella grande stanza di compensazione rappresentata dagli organismi dirigenti e di governo. C’era sempre un posto per qualcuno, c’era sempre un pezzo di potere da gestire anche quando le urne avevano detto qualcosa di diverso. Il potere senza i voti, o quantomeno senza abbastanza voti. Alla fine le due anime del Pd, appunto liberal-riformisti, cresciuti al tempo della segreteria di Matteo Renzi, e i progressisti, rivenienti da quel che resta della componente catto-comunista, hanno convissuto perché la forza centripeta del quadro politico consentiva loro, forse li obbligava a stare insieme per costituire un partito elettoralmente rilevante e quindi di potere.

 

Le elezioni del 25 settembre, però, hanno cambiato il quadro. Non solo perché il Pd le ha perse (in democrazia può capitare) ma perché hanno attivato due magneti esterni che finora praticamente non funzionavano: Carlo Calenda e Giuseppe Conte. Calenda era considerato uno sbruffone, un pierino, oppure un economista, un manager della politica a seconda delle occasioni. Ma non era stato mai preso abbastanza sul serio. Il Pd lo ha persino fatto eleggere al Parlamento Europeo, trascurando il fatto che Calenda pensa solo a Calenda e ha sempre e solo usato il Pd. E infatti è uscito poco dopo per fondare il suo partito personale. Il risultato elettorale del 25 settembre gli ha assicurato qualcosa di più del diritto di tribuna in Parlamento. Dopo la non vittoria alle elezioni comunali di Roma, ma con un ottimo risultato, e con il 7,8 per cento dei voti alle politiche è diventato protagonista: accanto a una vecchia volpe come Matteo Renzi, amico-serpente sempre nell’ombra, ma presente quando conta, si muove in totale libertà con una proposta politica non indifferente alla parte liberal-riformista del Pd che oggi si riconosce in Bonaccini.

 

Dall’altra parte i Cinque Stelle della prima ora erano considerati degli eretici, anche dalla base del Pd, e con cui non si doveva prendere nemmeno un caffè. Poi con Giuseppe Conte è cambiato molto, forse tutto. I temi identitari della sinistra sono stati fatti propri dal Movimento con lo smottamento di voti e consensi dal Pd verso i Cinque Stelle.

 

Ora, è vero che tutti e due i principali candidati alle primarie annunciano che non ci saranno scissioni chiunque vinca, ma tra i militanti non è così. D’altra parte già le primarie sono un istituto divisivo di per sé, hanno sempre lasciato scorie. Questa volta, con i due magneti a destra e a sinistra, il dilaniarsi del partito sarà ancora più forte. Chi garantisce, se vince Schlein, che pezzi di Pd non se ne vadano verso Calenda e Renzi? E chi scommetterebbe che pezzi di Pd non se ne andranno verso i Cinque Stelle se vince Bonaccini? Alla fine se i Pd diventassero due forse sarebbe la soluzione più logica anche se la peggiore per la democrazia italiana: mentre il centrodestra pensa di dar vita a un grande Partito conservatore con dentro tutte e tre le sigle attuali, il centrosinistra è sempre più diviso, con le sue anime che non hanno nemmeno intenzione di parlarsi, di cominciare a discutere di un percorso comune, e quindi, con la legge elettorale attuale, pensata proprio dal Pd, il centrosinistra è impossibilitato a vincere.

 

Solo un Pd forte può fare da catalizzatore, da cerniera e da mediatore. Il futuro del Partito Democratico e anche dell’alternanza democratica dipende certo dal risultato del 19 febbraio, ma soprattutto da quello che accadrà dopo, cioè se il Pd avrà la forza di respingere le spinte attrattive dei due magneti esterni. E tornare a essere un punto di riferimento per la Politica ma soprattutto per quei milioni di italiani che credono in un’Italia democratica e progressista.

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