Editoriale

«Dai migranti all'economia, per colpa del governo il nostro Paese è sempre più solo in Europa»

di Alessandro Mauro Rossi   17 novembre 2023

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L'accordo con l'Albania, la chiusura sul Mes, la riforma sul premierato. Le scelte dell'esecutivo Meloni ci allontanano dall'Ue. Ma l'Italia avrebbe bisogno di credibilità e sponde per affrontare una congiuntura molto difficile

«È difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro», dice un vecchio proverbio danese. Ancora più difficile se le previsioni riguardano il giudizio di una agenzia di rating importante come Moody’s i cui analisti emetteranno il loro verdetto sullo stato dell’economia italiana venerdì 17 novembre. Il giudizio è temuto soprattutto perché il Paese vi arriva con outlook negativo e l’attuale valutazione Baa3 è appena sopra la soglia del cosiddetto investment grade, livello per investire. Sotto si scende a Junk. Ossia i titoli del debito pubblico italiano saranno classificati come “spazzatura”, con lo spread tra Btp e Bund che potrebbe in un colpo salire a 250 punti.

Incrociamo le dita, non per difendere il governo, ma per difendere il nostro Paese che a causa di questo governo è sempre più isolato. La stampa britannica che conta ha già aperto il cannoneggiamento da bocche di fuoco, come "The Economist" (tra l’altro, con gli Agnelli-Elkann primi azionisti) e il "Financial Times": è il segnale che prelude all’attacco in forze. E il rischio che il governo Meloni possa fare la fine di quello Berlusconi cresce.

La politica sui migranti con la mossa di portarli in Albania, giudicata per niente in sintonia con legislazioni e trattati Ue, ha gettato benzina sul fuoco visto che FdI si sta sempre più staccando dalla maggioranza guidata da Ursula von der Leyen dopo alcune manovre di avvicinamento, naufragate per un braccio di ferro tra i partiti, un calcolo di bottega in vista delle elezioni europee. I sondaggi dicono che in Europa non cambierà niente perché l’estrema destra è in ritirata e la maggioranza che sostiene le sorti dell’Unione finirà per spuntarla. La logica politica avrebbe consigliato di avvicinarsi ai possibili vincitori per cercare di avere condizioni più flessibili quando la Commissione dovrà esaminare la manovra economica italiana.

Invece Giorgia Meloni è andata dritta per la sua strada e quando si è voltata indietro ha trovato solo Viktor Orbán e la sua Ungheria. Anche la Polonia ha cambiato casacca con le ultime elezioni e in Spagna è tornato al governo Pedro Sánchez con la sua composita alleanza di centro-sinistra-indipendentisti. Ma soprattutto la battaglia a Bruxelles si combatterà sul Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, che mette in sicurezza le banche e che il governo italiano, unico in Europa, non vuole approvare. Perché possa entrare in vigore, il Mes ha bisogno del voto favorevole di tutti gli Stati membri. Se l’Italia non lo approva, qualcuno gliela farà pagare?

Nei giorni scorsi un importante funzionario dello Stato in visita a "L’Espresso" si è lasciato andare ad alcune considerazioni: «L’Italia nel mondo è molto apprezzata, per il nostro modo di fare, il nostro ingegno, le nostre capacità. Però siamo considerati totalmente inaffidabili. E non per colpa nostra, ma per colpa dei nostri governi che durano pochissimo e litigano al loro interno».

Ci mancava solo la riforma costituzionale per il premierato e la nascita della Terza Repubblica (o repubblichina, come è stata già battezzata sui social). Anche questa, basta leggere l’incipit del pezzo che le ha dedicato ancora "The Economist" per capire cosa ne pensano in Europa: «Meloni dovrebbe abbandonare la riforma e concentrarsi invece sull’inflazione, su un’economia stagnante e sull’eterno problema dell’elevato debito italiano». Basta e avanza.