Editoriale

Giorgia Meloni oggi va di moda, ma passerà. Il problema sarà valutare gli eventuali danni collaterali

di Alessandro Mauro Rossi   17 febbraio 2023

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E bisogna anche capire chi sarà in grado di rimediarvi. Perché dalla parte opposta non c’è una grande attività propositiva. E gli elettori che si astengono dal voto lo dimostrano

Toh, che sorpresona. Dalle urne è uscito il risultato che in molti si attendevano. Unica anomalia, che poi non lo è più di tanto, è che a votare, tra lombardi e laziali, sono andati solo quattro su dieci aventi diritto. Era successo anche peggio in Emilia-Romagna in occasione dell’elezione di Stefano Bonaccini.

 

Il problema è che questo tipo di elezioni appassiona sempre meno la gente perché le Regioni sono un’entità lontana dalla vita di tutti i giorni se non per chi ci vive a stretto contatto per motivi vari: lavoro, clientele, opportunità, bisogni. E dire che le Regioni fanno parte dell’impianto costituzionale costituito proprio per stare accanto ai cittadini, per sviluppare e radicare la democrazia nei territori. Il problema è l’offerta politica. Se è quella che si è presentata agli elettori domenica scorsa non c’è da meravigliarsi che la gente non si sia messa in fila per deporre la scheda nell’urna.

 

Vincitore indiscusso il centro-destra con FdI leader assoluto. Prevedibile. Come diceva Ennio Flaiano: «Gli italiani corrono sempre in soccorso del vincitore». E il vincitore di questi tempi porta il nome di Giorgia Meloni.

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Va di moda anche se ancora non è che il governo abbia fatto proprio questo granché, se non inciampare un po’ qua e un po’ là. E alla moda non si comanda. Passerà, come l’eskimo o i pantaloni a zampa di elefante. Il problema sarà valutare gli eventuali danni collaterali che avrà prodotto sul tessuto sociale. E soprattutto, col tempo, chi sarà in grado di rimediarvi. Anche perché dalla parte opposta, non è che ci sia una grande attività propositiva. Infatti, molti elettori di centrosinistra non sono andati a votare per motivi diversi: quelli del Pd, anche se il risultato non è stato percentualmente dei peggiori, perché non sanno ancora di che pasta sarà fatto il partito che uscirà dalle primarie di fine febbraio; quelli di Azione-Italia Viva perché la proposta politica è quella che è; quelli dei 5Stelle, perché orfani della bandiera del reddito di cittadinanza e storicamente sconfitti alle elezioni locali.

 

Se anche le tre forze principali del centrosinistra si fossero alleate non sarebbero state in grado di contrastare lo strapotere elettorale del centrodestra. Il motivo è semplice: mancanza di elettori alle urne, non mancanza di elettori in assoluto. Perché, lo sanno tutti, alle Politiche di settembre sarebbe bastato poco (magari presentarsi uniti come il centrodestra) per poter almeno pareggiare la partita. Ma i troppi galli nel pollaio, mentre giocavano a chi cantava più forte, hanno consentito alla volpe Giorgia di mangiarsi le galline. Il bello è che non hanno imparato la lezione.

 

C’è da ricostruire a sinistra e occorre un federatore che sicuramente non può essere Calenda o Renzi, difficilmente Conte, meno impossibile Bonaccini o Schlein, ma la strada è in salita se non si scelgono semplici obiettivi comuni: difesa dei più deboli, lavoro, salario minimo, attenzione alle piccole e medie aziende, sanità, ecologia/energia, diritti. E poi uno su tutti: la Pace. La Pace (con la P maiuscola) è stata uno dei grandi temi identitari della sinistra. Che torna prorompente alla vigilia dell’anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina a cui dedichiamo il servizio di copertina ricostruendo quella notte minuto per minuto. In questa guerra russi, americani, europei e ucraini hanno ognuno i propri interessi. Solo la Pace è nell’interesse di tutti. Soprattutto dei popoli.