Editoriale

Enrico Bellavia: «L'Espresso è uno strumento di consapevolezza indipendente»

di Enrico Bellavia   2 febbraio 2024

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L'editoriale del nuovo direttore, per ribadire le radici, la storia e i principi della testata. «L’Espresso è soprattutto una comunità. Attenta, curiosa, appassionata, giustamente esigente e intransigente sui fondamentali. Aperta ma schierata senza minuetti. In questa comunità si discute e si dissente e non c’è spazio per i pregiudizi»

Guidare L’Espresso, per la sua storia e la sua tradizione, è un’enorme responsabilità. L’orgoglio è vanità effimera di fronte alla consapevolezza di prendere tra le mani uno dei pezzi pregiati dell’editoria italiana. Al solo evocare i padri nobili del giornalismo e gli intellettuali che hanno abitato le pagine di questo settimanale fin dalla sua fondazione, nel 1955, è prevalente la vertigine.

L’Espresso è un presidio, esercita un controllo sul potere che in questi anni, sotto tutte le direzioni – ultima quella di Alessandro Mauro Rossi, che mi ha passato il testimone e che ringrazio per aver condotto il giornale in una stagione tormentata – non è mai venuto meno. Una necessità sempre, un’urgenza in tempi come questi, segnati da una minaccia costante ai pilastri della convivenza democratica. Nel Mondo scosso dalle guerre, ma anche in Italia e in Europa, come la vergognosa gestione della vicenda di Ilaria Salis dimostra.

Diritti e giustizia calpestati, i progressi civili a repentaglio. Il divario tra chi ha moltissimo e chi poco o nulla ampliato. Spie di squadrismo, non solo verbale, si accendono ovunque. Le lobby spadroneggiano. Il dibattito culturale e sull’informazione ruota intorno a logiche spartitorie. La compiacenza, il servilismo, l’opportunismo contrabbandati per virtù. I furbetti premiati. La ricerca del consenso dispiegata da una classe dirigente largamente inadeguata attraverso promesse, mance, regalie e condoni. Le emergenze sociali incrociano solo risposte securitarie, peraltro inefficaci.

Per provare a interpretare al meglio il nostro ruolo, qui a L’Espresso, non abbiamo che i fatti, argomenti estremamente testardi, a guidarci. Nel frastuono della propaganda, ogni giorno e ogni settimana uno straordinario gruppo di lavoro, fatto di redattori e collaboratori, prova a offrire non solo una narrazione di ciò che accade ma anche una chiave di interpretazione: le connessioni che costituiscono la trama della realtà e dei suoi mutamenti.

Continuerà a farlo, con l’indipendenza che anche il nuovo editore ha assicurato, garantendo la solidità economica necessaria e una prospettiva di lungo periodo a un settimanale che per molti è quasi romanzo di formazione. Sulla carta e sul digitale il comune denominatore resta lo sforzo di cimentarsi nel buon giornalismo, avendo una testata gloriosa da rispettare e un futuro nel quale perpetuare una storia, dosando l’innovazione imposta dai tempi che dettano l’agenda della nostra capacità di adattamento.

L’Espresso è soprattutto una comunità. Attenta, curiosa, appassionata, giustamente esigente e intransigente sui fondamentali. Aperta ma schierata senza minuetti. In questa comunità si discute e si dissente e non c’è spazio per i pregiudizi. Forte delle proprie radici e di una precisa collocazione di campo, L’Espresso è il riflesso di questa vivacità. Sta dentro alle trasformazioni sociali, alle innovazioni della parte migliore del Paese, guarda quanto di buono, di bello, di appagante accade. Sa gioire, ridere e irridere. Non smette di denunciare storture, ingiustizie, malefatte, mafie. Non solo scandali, ma lacci, macigni che zavorrano energie, limiti per le giovani generazioni che hanno il diritto di sperare con l’ottimismo della volontà.

L’Espresso, insomma, è L’Espresso, fedele a sé stesso e ai propri principi. Un patrimonio di idee nette e riconoscibili. Uno strumento forte di un’autorevolezza costruita negli anni, di un’autonomia difesa con tenacia, di un’affidabilità che ha riscontro in chi ci segue. E l’umiltà di sottoporsi ogni giorno, ogni settimana, all’unico giudizio che decreta la fortuna: quello del lettore.