Analisi

L'attivismo last-minute di Giorgia Meloni su Ilaria Salis non cancella un anno di vergognosi silenzi del suo governo

di Enrico Bellavia   2 febbraio 2024

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La premier, costretta dal clamore mediatico, è alla fine intervenuta sul caso dell'italiana reclusa in Ungheria scomodando l'amico Viktor Orban. Ma l'intera faccenda dimostra quanto la retorica dei "fratelli d'Italia" valga solo per chi la pensa come loro

Il tardivo attivismo della Farnesina sulle condizioni di Ilaria Salis non cancella un anno di silenzio sulla detenzione disumana in Ungheria e la degradante traduzione alle udienze, in ceppi e al guinzaglio. La nostra rappresentanza diplomatica a Budapest sostiene di non aver mai abbandonato Ilaria; tuttavia, non si hanno notizie di un vigoroso intervento di Roma, prima che la vicenda esplodesse mediaticamente. Su quanto ha fatto o non ha fatto l’ambasciata italiana in Ungheria una parola di verità dovrebbe venire dall’ambasciatore Manuel Jacoangeli. 

 

Perché non ci sono molte alternative. O l’ambasciatore ha fatto il suo, sollecitando il ministero degli Esteri a una presa di posizione o la segnalazione ha seguito una via quantomeno burocratica. Da più esponenti del governo, timidamente in cammino sulle uova, per non concedere nulla alle ragioni della detenuta, si invita a non trasformare il caso in una vicenda politica. Che invece lo è. E per intero. Giorgia Meloni ha ottime relazioni e un forte ascendente sul primo ministro ungherese Viktor Orbán. 

 

Vestendo panni da statista, la premier proprio ieri, si è appuntata una medaglia per aver convinto il suo omologo ungherese a dare il via libera agli aiuti a Kiev: 50 miliardi di fondi europei. In cambio, ha ottenuto la promessa di una rivisitazione delle ragioni che gli impediscono di incassare un congruo tesoro di fondi di Bruxelles, in tutto 20 miliardi. Il perché siano bloccati ha a che fare proprio con la questione del rispetto dei diritti umani e delle regole che sono il cemento che tiene insieme l’Unione Europea. E questo, ovviamente, Meloni lo sa bene. Dunque, appellarsi all’indipendenza della magistratura magiara, ben sapendo che l’Ungheria ha molto da imparare su separazione dei poteri e autonomia dei giudici, è una finzione. La nostra premier sa benissimo che i giudici in Ungheria non sono affatto indipendenti e il sistema repressivo non ha nessuna parentela con il nostro ordinamento democratico. 

 

Nel merito della vicenda, c’è molto da chiarire. L’arresto di Ilaria Salis non è avvenuto in flagranza di reato ma il giorno dopo i fatti contestatigli, ovvero l’11 febbraio. Le due aggressioni da cui sarebbero derivate lesioni con pericolo di morte, imputate a Ilaria Salis che si professa innocente, si appoggiano a un video che non è affatto una prova regina perché la trentanovenne insegnante brianzola non è riconoscibile senza ombra di dubbio. In cinque attivisti antifascisti si sarebbero scagliati contro due neonazisti, picchiandoli e procurandogli ferite guaribili in pochi giorni. 

 

Per questa storia a Ilaria Salis è stato proposto un patteggiamento a 11 anni su una pena che con le aggravanti potrebbe essere di 25. Una enormità, una sproporzione evidente che tradisce la volontà di punire il dissenso non l’episodio in sé. Che lo faccia il sistema giudiziario di Orbán qualifica il primo ministro ungherese ma anche chi lo ha accolto a braccia aperte per calcolo politico elettorale nella congregazione dei conservatori europei. Ora che Ilaria Salis debba essere fatturato di calcoli politici di nostalgici e sovranisti non è solo inaccettabile. Tradisce la stessa idea di patria a cui fanno riferimento Meloni e soci, un giorno sì e l’altro pure. Ci sono italiani che gli piacciono, fratelli. E italiani che non la pensano come loro che non gli piacciono. E che è tollerabile far marcire in galera per il loro attivismo in carcerazione preventiva da un anno. 

 

In un Paese che non riesce a mettersi d’accordo sulla necessità di cancellare la gigantesca croce celtica di Acca Larentia, a Roma, perpetuando una violenza anche estetica nei confronti di cittadini che già devono sorbirsi adunate e braccia tese a ogni ricorrenza, ci si scopre cultori del diritto di rito ungherese, si riconosce legittimità a una procedura di detenzione che non ha nulla di civile e, grazie al cinismo opportunista di Matteo Salvini, ci si concede pure di contrabbandare false notizie e ipotecare il futuro lavorativo di una dissenziente, forse anche intemperante, prima ancora di averle assicurato un giusto processo. Perché Ilaria Salis molto probabilmente è innocente per l’aggressione che la tiene dentro, non è un colletto bianco, non vota a destra e non ci sta a lasciar correre - d’accordo, con metodi assai discutibili - di fronte ai rigurgiti fascisti e nazisti tanto accettati, se non incoraggiati, anche da queste parti. Ma purtroppo per Meloni, Tajani e Salvini Ilaria Salis è anche italiana. E la differenza tra gli statisti e le caricature dei leader sta tutta nel considerare dirimente questo non trascurabile dettaglio.