Dopo lo sparo al comizio, il candidato repubblicano sembra più forte. Con la sua capacità di manipolare i fatti a suo vantaggio. E come punto di riferimento per la destra estrema europea

Abbiamo voluto titolare la nostra copertina dedicata all’attentato a Donald Trump con il termine “Inarrestabile”, un aggettivo che ci sembra sintetizzare bene il momento che sta vivendo l’ex presidente degli Stati Uniti, tornato a essere il candidato repubblicano alla Casa Bianca alle prossime Presidenziali del 5 novembre. Il titolo, infatti, da un lato sottolinea la sua determinazione e la ferma reazione all’attentato; dall’altro, ci ricorda come, nei mesi scorsi, Trump sia riuscito sempre a sfuggire all’arresto, nonostante le sue numerose vicende giudiziarie.

 

Una cosa è certa: l’attentato del 13 luglio ha trasformato radicalmente non solo la campagna elettorale americana ma l’intero panorama politico degli Stati Uniti, mostrandoci come questo Paese rischia di essere vicino a un tracollo della tenuta sociale. In questo contesto lui, Trump, ora più che mai, viene visto dai suoi sostenitori come «l’uomo della provvidenza» e «il salvatore della patria». Quanto accaduto in Pennsylvania, paradossalmente, lungi dall’indebolirlo, sembra avere rilanciato le sue quotazioni. Ma non solo. A livello mondiale Trump appare ormai come un punto di riferimento consolidato per quella «Internazionale sovranista» che, purtroppo, sta prendendo piede in molti contesti politici del Globo.

 

E se tutti i sondaggi lo danno in vantaggio sul candidato democratico Joe Biden, bisogna ricordare che al voto del 5 novembre, che deciderà chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca, mancano solo quattro mesi: un periodo apparentemente breve che però potrebbe riservare sorprese, tenendo contro di quanto sia notoriamente fluttuante e influenzabile l’elettorato americano. È cruciale comprendere come una grande democrazia sia potuta cadere in una spirale di violenza che sembra non avere fine, che ha radici profonde e ha visto numerosi attentati contro esponenti politici negli ultimi decenni. Il più recente, contro Trump, è solo l’ultimo di una lunga serie che ha impietosamente messo a nudo le fragilità del sistema democratico americano.

 

 

In questo numero parleremo anche del candidato alla vicepresidenza, annunciato durante la prima giornata della convention di Milwaukee, J.D. Vance. Ex marine, antiabortista,  isolazionista, contrario ai diritti Lgbt e agli aiuti all’Ucraina è stato scelto con l’aspettativa che promuova con fervore il programma estremista «Make America Great Again».

 

La nostra analisi prenderà in considerazione anche un altro aspetto fondamentale: l’eventuale ritorno di Trump alla Casa Bianca potrebbe consolidare quel partito transoceanico e transnazionale che molti osservatori già intravedono. Questo movimento ha trovato un forte alleato nel presidente ungherese Viktor Orbán e potrebbe incoraggiare ulteriormente i sovranisti italiani. La Lega, in particolare, potrebbe vedere in un trionfo di Trump un’opportunità per contrastare la crisi di consensi e cercare più spazio all’interno della maggioranza di governo.

 

In questo contesto abbiamo cercato di offrire ai nostri lettori anche un’analisi più generale delle ragioni del successo di Trump e della sua straordinaria abilità nel manipolare la copertura mediatica. Nonostante un evento scioccante e inatteso come un attentato, Trump è riuscito a trasformare una circostanza drammatica in un’opportunità politica, dimostrando ancora una volta la sua resilienza e la sua capacità di influenzare l’opinione pubblica.