La geopolitica del Pontefice è fatta di presenza, tesa a costruire ponti tra le comunità. E di questo dialogo e di questa presenza, oggi più che mai, abbiamo bisogno

Abbiamo scelto di dedicare la copertina del nostro settimanale al lungo viaggio che Papa Francesco intraprenderà dal 2 al 13 settembre in Estremo Oriente e Oceania perché siamo fermamente convinti che rappresenti non solo una manifestazione dell'impegno pastorale della Chiesa, ma anche un significativo passo nella geopolitica contemporanea, specialmente in una fase storica così segnata da tensioni e conflitti. Dalle isole dell’Indonesia a Timor Est, passando per Papua Nuova Guinea e Singapore, il Papa si troverà a fare i conti con realtà complesse e problematiche urgenti, che rivestono un’importanza cruciale per numerose comunità cristiane perseguitate e in cerca di dignità.

 

Francesco, nonostante la sua età avanzata e le recenti vicissitudini di salute, continua a perseguire con determinazione una missione che ha dichiarato sin dall’inizio del suo pontificato: quella di portare il messaggio cristiano nelle periferie del mondo, là dove le sofferenze umane e i conflitti politici si fanno più acuti. È emblematico che in alcuni dei Paesi che visiterà, le comunità cristiane affrontano sfide analoghe a quelle della Chiesa primitiva, vivendo, talvolta, la fede come un atto di resistenza alla violenza e all’odio.

 

Il contesto in cui il Papa si muoverà è intriso di tensioni religiose, in particolare il conflitto tra cristiani e musulmani, esacerbato da atti estremisti che in anni recenti hanno insanguinato queste terre. La presenza di Francesco, non come mero diplomatico, ma come uomo di fede e di vita, offre già un primo segnale di speranza: la sua capacità di riempire il vuoto di odio e pregiudizi attraverso la semplice “presenza” è un atto politico fondamentale, che mira non solo a promuovere il dialogo, ma a costruire relazioni autentiche tra le comunità.

 

Il Papa si confronterà anche con il tema della protezione dell’ambiente, un argomento che attraversa la geografia della sua visita, sottolineando l’urgenza di affrontare le sfide ecologiche e sociali che minacciano la vita dei popoli. Le isole dell’Oceania e l’Asia sono tra le regioni più vulnerabili ai cambiamenti climatici, e il messaggio della Chiesa in questo contesto è imprescindibile: la cura della “casa comune” deve necessariamente passare attraverso una giustizia sociale che riconosca i diritti di tutti, in particolare dei più deboli.

 

Francesco, con il suo stile diretto e umano, segna una strada potenzialmente nuova per il cattolicesimo globale, che si muove verso una visione inclusiva e concreta. La sua posizione rispetto all’Islam, seppur complessa, trova un’applicazione pratica nella quotidianità, dove la volontà di costruire ponti è manifesta. La popolarità che il Papa riscontra tra le comunità musulmane è la testimonianza di un dialogo schietto, che supera le sterili teorizzazioni per affrontare la vita reale delle persone e delle loro interazioni.

 

Tuttavia, non mancano le sfide interne alla Chiesa, con le tensioni della Curia e le resistenze che Francesco deve fronteggiare. Nonostante veleni e opposizioni, la sua missione si concentra su quell’incessante bisogno di umanità che trascende le politiche ecclesiastiche e di potere. La fatica di un Papa anziano in un viaggio così impegnativo diventa, quindi, simbolo di una determinazione indomita: «Sono ancora vivo e, nonostante tutto, continuerò a portare avanti il messaggio di Cristo». In un mondo dominato da conflitti e divisioni, il viaggio di Papa Francesco rappresenta un invito potente non solo per i cattolici, ma per tutti coloro che credono nella coesistenza pacifica e nella solidarietà tra i popoli. Di questo dialogo e di questa presenza, oggi più che mai, abbiamo bisogno.