L’istruzione deve ritrovare la sua funzione autentica. Garantendo conoscenza, crescita e coesione.

Con l’inizio di un nuovo anno scolastico, oltre 7 milioni di studenti italiani e circa 1,5 milioni di professionisti del settore (dirigenti scolastici, docenti, personale amministrativo, tecnico e ausiliario) sono tornati a toccare con mano i problemi che affliggono il nostro sistema educativo da troppo tempo. Carosello dei docenti, piaga dei supplenti, insegnanti di sostegno insufficienti, mense che non partono in tempo stanno ancora una volta mettendo a dura prova le famiglie italiane, ma anche la continuità didattica, spesso costringendo studenti e insegnanti in un contesto di incertezza. 
 

ABBONATI A L'ESPRESSO
 

Spesa pubblica e istruzione: un confronto impietoso
I dati Istat ci rivelano che nel 2022 l’Italia ha speso 79 miliardi di euro per l’istruzione, meno degli interessi passivi delle pubbliche amministrazioni che ammontavano a 82,9 miliardi. Questi numeri ci pongono di fronte all’amara realtà di un Paese che investe troppo poco nella crescita e nell’istruzione dei suoi giovani. Ma c’è di più: la didattica, soprattutto nelle materie scientifiche e matematiche in particolare, non riceve l’attenzione che meriterebbe. Negli anni del boom economico dopo la seconda guerra mondiale, la scuola rappresentava un ascensore sociale, capace di garantire opportunità a chi, provenendo da ceti più poveri, desiderava riscattarsi attraverso lo studio e il sapere. Oggi, come denuncia un giovane studente nella sua lettera a L’Espresso, quell’ascensore si è inceppato e nessun governo degli ultimi anni è riuscito a ripararlo. Contrariamente a quanto sancito dall’articolo 34 della Costituzione, che garantisce il diritto all’istruzione per tutti, il nostro sistema educativo registra ancora troppi abbandoni; inoltre, è fondamentale ricostruire il patto educativo tra famiglie e insegnanti, come sottolineato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenuto all’inaugurazione del nuovo anno scolastico a Cagliari.

 

Una professione in crisi
E poi c’è il tema insegnanti. I dati parlano chiaro: la classe insegnante italiana, stando al rapporto “Education at a Glance 2024”, risulta tra le meno retribuite tra i Paesi Ocse, con uno stipendio medio annuo che si attesta poco sopra i 31 mila euro. Un dato deludente che conferma un trend allarmante: il valore della professione di docente è scivolato verso i gradini più bassi della scala sociale. Eppure in questo marasma gli insegnanti continuano a resistere, a onorare una chiamata professionale che dovrebbe essere non solo un lavoro, ma pure una vocazione.

 

Strutture inadeguate
Infine la questione degli edifici scolastici, in gran parte costruiti tra gli anni Cinquanta e Novanta, che mostrano segni evidenti del tempo e della mancanza di manutenzione e non sempre garantiscono la sicurezza necessaria, mentre scarso è stato l’investimento a fronte degli impegni previsti dal Pnrr. La scuola deve ritrovare la sua funzione autentica, diventando non solo un luogo dove si apprendono nozioni, ma anche uno spazio dove si coltivano valori, diritti e opportunità. In questo scenario critico non possiamo permetterci di perdere di vista ciò che la scuola rappresenta: un tempio della conoscenza, un luogo di crescita e coesione, dove il dialogo tra diverse generazioni e culture possa fiorire. È giunto il momento di agire, di riparare l’ascensore sociale e di restituire dignità alla professione d’insegnante che, per definizione, deve saper guardare al futuro. Perché il futuro di un Paese nasce dalla scuola del presente.