Un piano c’era ed era anche stato annunciato. Bastava non sottovalutare le parole di Benjamin Netanyahu la mattina del 22 settembre 2023 nella sede delle Nazioni Unite, pochi giorni prima del 7 ottobre. «Qualche anno fa ero qui con un pennarello rosso per mostrare la maledizione, una grande maledizione, la maledizione di un Iran nucleare», aveva detto al mondo, mostrando la mappa del nuovo Medio Oriente che allora aveva in testa e che ora sta realizzando, sfruttando ogni occasione bellica: «Oggi porto questo pennarello per mostrare una grande benedizione. La benedizione di un nuovo Medio Oriente, tra Israele, Arabia Saudita e gli altri nostri vicini». In quella mappa lo stato di Israele si estendeva dal fiume Giordano fino al mar Mediterraneo senza soluzione di continuità. Senza ombra di Hamas ma nemmeno di un territorio palestinese. L'Iran era stato neutralizzato, così come i suoi alleati in Siria e in Libano, e anche le monarchie arabe avevano non solo accolto Israele ma salutato una novella “pax israeliana”. Una pax che, come quella “americana” o, molto prima, quella “romana”, non avrebbe potuto non essere una conseguenza di muscoli ben armati.
Il suo discorso non si fermava qui, così come potrebbero non limitarsi al Medio Oriente le conseguenze della nuova egemonia israeliana che, nel tentare di ridisegnare la geometria di quel lembo di mondo, si inserisce in un contesto più ampio di riallineamento dell’ordine mondiale attualmente in corso: «Costruiremo un nuovo corridoio di pace e prosperità che collegherà l’Asia attraverso gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, la Giordania, Israele e l’Europa», annunciava Netanyahu: «Questo è un cambiamento straordinario, un cambiamento monumentale, un altro punto di snodo della storia».
La via del Cotone
L'idea, già schizzata a grandi linee da Joe Biden e Narendra Modi nel G20 del settembre di due anni fa, e immediatamente abbracciata dall’Italia di Giorgia Meloni, era quella di una nuova via del Cotone che si contrapponesse alla via della Seta cinese e collegasse la nuova India a un Medio Oriente stabilizzato, passando per la penisola arabica, fino ad approdare, magari usando Israele come crocevia di snodo, sulle rive del Mare Nostrum. Evitando di attraversare la Cina e la Russia.
Si tratta di un progetto che, sulla carta, vedrebbe protagonisti gli americani nella loro competizione con la Cina. Un Medio Oriente a guida israeliana, sotto l’egida americana e senza un’importante influenza russa, potrebbe diventare un blocco utile contro il crescente espansionismo cinese a Ovest: nel giorno in cui Trump lasciò il G7 per dedicarsi al bombardamenti dell'Iran, due settimane fa, il presidente Xi Jinping si trovava ad Astana per il Secondo summit dell’Asia centrale, durante il quale firmò un accordo di cooperazione e buon vicinato con i leader dei cinque “-stan”: Kazakistan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Non solo. La via del Cotone, dove tratti di mare si alternano alla rotta terrestre, potrebbe accelerare lo sviluppo di un mercato indiano che nel lungo periodo si potrebbe concretizzare in un’alternativa alla Cina per le merci e alcuni investimenti occidentali.
Ma tornando a quella riunione dell’Onu di due anni fa, c’è un’altra immagine che torna in mente in questi giorni. Secondo quanto raccontò il “Jerusalem Post”, pochi giorni dopo il discorso di Netanyahu, avvenne un incidente diplomatico, in cui qualcuno volle leggere un presagio: il leader israeliano chiese una mappa del mondo da collocare nella stanza dove avrebbe incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, impegnato nella guerra difensiva contro la Russia, in quel momento alleata dell’Iran. Il consolato israeliano di New York gliene fornì una risalente agli anni Sessanta, quando l’Unione Sovietica controllava l’Europa orientale, che non includeva l’Ucraina come Paese indipendente.
Due anni e un cambio di amministrazione americana più tardi, il mondo è alle prese con repentini cambiamenti geopolitici dietro cui arranca, cortesia di un presidente americano umorale, vendicativo e senza scrupoli legali o etici. Impossessatosi dell'enorme forza degli Stati Uniti, che potenza globale sono ancora nonostante i funerali annunciati, è determinato a brandirla, sia commercialmente sia militarmente, scardinando il diritto internazionale, come – unico leader europeo – gli ha fatto notare Emmanuel Macron a proposito degli attacchi preventivi all’Iran, e sfaldando alleanze storiche, a partire da quella transatlantica, che ci eravamo illusi fossero marmoree.
L'irrilevanza strategica dell'Europa
«Gli europei sono stati a lungo parte integrante delle negoziazioni sul nucleare iraniano e avevano un ruolo chiave l’Unione europea, la Francia, la Germania e il Regno Unito», dice Camille Grand, ex dirigente Nato ora allo “European Council of Foreign Relations”: «Ma non c’è nessun ruolo per loro adesso. Sono ai margini. In una posizione difficile». Sono obbligati ad accettare cambiamenti che, politicamente disuniti e complessivamente disarmati, non sono in grado di guidare, come ha dimostrato l’ultimo vertice Nato, all’indomani dell'annunciata (e poi rotta) tregua tra Israele e Iran di cui Trump si è preso il merito, con quella postura da deus ex machina del Globo per cui rivendica il premio Nobel per la Pace.
Che poi il Medio Oriente sarà davvero più stabile e in pace è tutto da vedere. «Certo dal suo punto di vista, Netanyahu ha raggiunto gli obiettivi strategici, distruggendo l’“asse della resistenza” (all’imperialismo statunitense e all’esistenza di Israele, ndr)», ha detto Grand dall’Aia, dove si trovava per il vertice Nato: «Ma la situazione a Gaza non è risolta, la Siria è instabile così come lo è lo Yemen degli Houthi, ed è impossibile predire se alla fine ci sarà una rivoluzione che capovolgerà il regime iraniano o se invece questo si solidificherà». È ancora troppo presto, almeno senza palla di vetro.
Due sono invece le certezze di oggi, entrambe legate agli Usa: la volontà americana di dimostrare la propria potenza rispetto alla Cina, e il graduale disimpegno di Washington dall’Europa, giudicata non più strategica per gli interessi di sicurezza nazionale e nemmeno pragmaticamente utile.
Per quanto riguarda il primo aspetto, sono stati molti i commentatori a sottolineare la gioia di Taiwan, sempre più accerchiata dalle navi e dagli aerei cinesi. Se l’America interviene in Iran con poche ma potenti armi, allora può sperare che farà la stessa cosa per l’isola rivendicata dalla Cina. Un’ipotesi però su cui nessuno è disposto a scommettere. L’isola non solo investe in armamenti solo il 2 per cento del Pil, ben al di sotto delle soglie chieste agli alleati dagli Usa per garantire una difesa di extrema ratio, l’«assicurazione americana», come l’ha definita Trump. Ma il suo valore agli occhi di Trump, che ha eliminato la parola democrazia dal linguaggio diplomatico, consiste tutto nella produzione straordinaria di microchip. Un’esclusiva che oggi c’è ma domani non si sa.
Sul fronte europeo invece, la Russia, che dal Dopoguerra è stata la rivale per eccellenza degli Usa, è stata declassata da Trump a problema regionale europeo, rosicchiamenti territoriali inclusi, almeno fin tanto che resta fuori dalla creazione di disordine in Medio Oriente e da un’alleanza troppo stretta con la Cina.
La Russia è diventata una minaccia europea
Invece per l’Europa, finiti i bei tempi del gas facile e delle spese faraoniche degli oligarchi in vacanza, Mosca è diventata il problema numero uno, come hanno affermato Friedrich Merz ed Emmanuel Macron prima di un vertice Nato in cui i Paesi europei, nello sforzo di compiacere Trump e avviare un riarmo che tra qualche anno non li trovi completamente impreparati, hanno concordato l’aumento delle spese per la Difesa. «La principale fonte di instabilità per l’Europa proviene dalla Russia, che ha condotto una guerra imperialista, con l’invasione della Georgia nel 2008, poi della Crimea e del Donbass nel 2014, quindi dell’intera Ucraina nel 2022», hanno scritto i due leader sul “Financial Times”: «L’obiettivo di Vladimir Putin è quello di minare la sicurezza europea a vantaggio di Mosca. È in atto un tentativo metodico da parte della Russia di esercitare una tutela coercitiva sui suoi vicini, di cercare di destabilizzare i Paesi europei e di sfidare l’ordine globale. Non possiamo accettarlo, perché il nostro obiettivo è proteggere e preservare la pace nel nostro continente. Finché durerà l’attuale traiettoria, la Russia troverà in Francia e Germania una determinazione incrollabile. La posta in gioco determinerà la stabilità europea per i decenni a venire».
Nuovi alleati per la nuova difesa europea
A differenza dell’Italia, i cui cittadini sono gli europei che meno vorrebbero spendere per la difesa comune e che ancora contano sull’assistenza americana in caso di aggressione diretta, Francia e Germania non vedono nel disimpegno americano una minaccia esistenziale: sono decenni che la prima si prepara a una difesa autonoma mentre la seconda ha iniziato solo da qualche mese ma lo sta facendo con una combinazione di determinazione, convinzione e spazio fiscale introvabile nel resto dell’Unione. «La Ue, che era un progetto di pace, sta diventando un progetto di guerra a causa dell’invasione putiniana dell'Ucraina», scrive Mark Leonard nell’ultimo rapporto dell’"Ecfr" sulla rivoluzione trumpiana in Europa. Un’evoluzione che la maggioranza degli europei giudica inevitabile in un periodo storico in cui l’interconnessione tra Stati è usata come arma di attacco. Non a caso la Ue, molto aperta al commercio globale, oggi è sulla difensiva su molteplici fronti: oltre essere alla ricerca di una difesa meno dipendente dagli Usa, si sta staccando dalla dipendenza energetica dalla Russia, cerca soluzioni alternative ai canali di pagamento e alle connessioni Internet degli Usa e si sta anche allontanando dai sistemi cinesi di telecomunicazione. E siccome gli alleati di ieri potrebbero non essere quelli di domani, come ha sottolineato recentemente Trump, Bruxelles, dopo averci siglato un accordo commerciale (Ceta) ha appena reclutato il Canada nella costruzione del suo nuovo sistema difensivo. Il nuovo risiko mondiale si gioca a lungo e su più fronti. Oggi il più caldo è in Medio Oriente. Domani potrebbe avvicinarsi.