Cinque minori sottratti alle loro famiglie in Congo. E adottati da nostri connazionali ignari. Grazie a un’associazione milanese che sapeva ma non ha denunciato i trafficanti. E ora è sotto indagine

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Aggiornamento 12 marzo 2019
«Adozioni in Congo senza rilevanza penale»: Così Milano ha archiviato l'inchiesta su Aibi

Una rete di trafficanti insospettabili ha cercato di far entrare in Italia bambini sottratti ai loro genitori in Congo. Quindi sicuramente non adottabili. I casi dimostrati sono almeno cinque. Ma è soltanto la punta dell’iceberg. L’indagine avviata dalla Commissione per le adozioni internazionali (Cai), cioè l’autorità di controllo della Presidenza del Consiglio su enti e procedure di adozione, ha un seguito ancor più sconvolgente.

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L’organizzazione in Africa ha potuto operare grazie alle presunte coperture e alle omissioni dei vertici dell’associazione “Aibi – Amici dei bambini” di San Giuliano Milanese. Secondo le segnalazioni raccolte, i responsabili di Aibi non hanno denunciato quanto sapevano, hanno fornito informazioni non corrispondenti al vero. E, attraverso i loro assistenti locali, avrebbero addirittura ostacolato la partenza per l’Italia di decine di bimbi, mettendo così a rischio il trasferimento di tutti i centocinquantuno minori già adottati in Congo da famiglie italiane.

UN FILM HORROR
Inchiesta choc
Congo, non liberate quei piccoli
6/7/2016

“L’Espresso” è in grado oggi di ricostruire tutta la storia grazie a una fonte interna ad Aibi, a contatti diretti con la capitale Kinshasa e a un lavoro di inchiesta sull’associazione cominciato nel dicembre 2012. Abbiamo così assistito a un film horror. Diciotto bambini tra i 3 e i 13 anni, anche loro già adottati da genitori italiani e quindi con cognome italiano, sono stati tenuti in ostaggio per un anno e mezzo, fino al 29 maggio scorso, in due orfanotrofi a Goma, nella regione più pericolosa nell’Est del Paese africano. Una bambina di 9 anni, figlia adottiva di una coppia di Cosenza, è sparita nel nulla. Altri piccoli sono stati bloccati da un commando e portati al sicuro soltanto dopo lunghe trattative. Un affidatario congolese, che su richiesta della Commissione adozioni della Presidenza del Consiglio e su mandato dell’autorità giudiziaria locale aveva messo in salvo quei bambini, come ritorsione è stato arrestato per una settimana su ordine del presidente del Tribunale dei minori di Goma: lo stesso giudice che Aibi, nelle comunicazioni interne, indica come proprio partner. Durante la detenzione l’affidatario è stato torturato: lo hanno immerso in una buca con gli escrementi della prigione, lo hanno picchiato e gli hanno ustionato i genitali. Altri due incaricati della Cai nelle delicate trattative, due consulenti giuridici, sono stati arrestati e a loro volta minacciati di torture per essersi interessati al rilascio dei bambini. Una suora, anche lei impegnata nei contatti per la liberazione dei piccoli ostaggi, è stata accusata dallo stesso giudice-partner di Aibi di traffico di minori perché fosse arrestata. Accuse false, ovviamente. Ma non finisce qui. Torniamo in Italia.

IL PRESIDENTE-PADRONE

Il presidente-padrone di Aibi, Marco Griffini, 69 anni, un ex sondaggista di mercato e fervente cattolico, è consapevole di essere a capo dell’associazione italiana più potente, con sedi in mezzo mondo, tanto da costituire il bacino elettorale per molti deputati e senatori a destra e a sinistra. Così dal mese di giugno del 2014, quando ha probabilmente intuito di essere sotto indagine, Griffini ha cominciato la sua guerra personale contro la presidente della Commissione per le adozioni internazionali, il magistrato di lungo corso Silvia Della Monica.

Griffini ha insultato il suo operato e spinto alcuni genitori adottivi a protestare contro di lei davanti a Palazzo Chigi, inducendo così numerosi parlamentari a presentare interrogazioni al governo per chiedere che la scomoda presidente della Cai fosse rimossa. Tra i più attivi, all’oscuro dei pesanti retroscena, i senatori Carlo Giovanardi e Aldo Di Biagio. Perfino la Conferenza episcopale italiana, attraverso il suo quotidiano “Avvenire”, ha sostenuto la campagna contro il magistrato Della Monica, alla quale hanno partecipato rappresentanti in Parlamento di Forza Italia, Ncd, Gruppo misto, Pd e Movimento 5 Stelle.

Il risultato più stupefacente è che Griffini ha (apparentemente) vinto la sua guerra. Il 10 maggio scorso Matteo Renzi, con una decisione a sorpresa, si è arreso alle pressioni: ha infatti annunciato che si sarebbe ripreso le deleghe di presidente della Cai affidate due anni fa a Silvia Della Monica, confermata solo come vicepresidente, per assegnarle al ministro Maria Elena Boschi. Così come poi è avvenuto. Un atto che ha messo in crisi proprio nel momento più delicato l’operazione di salvataggio degli ultimi 18 bambini ancora in ostaggio a Goma: l’assistente sociale di Aibi nella città congolese, Oscar Tembo, secondo i testimoni, la sera del 28 maggio ha tentato per l’ennesima volta di bloccare il trasferimento dei piccoli, sostenendo che «Silvia» non avesse più nessuna autorità. È stato l’ultimo colpo di coda. Il pomeriggio di domenica 29 maggio i diciotto bambini sono comunque partiti per la capitale Kinshasa. E il 10 giugno da Kinshasa sono atterrati a Roma Fiumicino.

L’INVITO AL QUIRINALE

I contenuti spaventosi dell’inchiesta non hanno impedito al presidente di Aibi di incassare l’immagine simbolo del suo incredibile successo nel cuore delle istituzioni. In occasione delle ultime celebrazioni per i settant’anni della Repubblica, Marco Griffini e la moglie-collega Irene Bertuzzi sono stati invitati in pompa magna al Quirinale. La foto di loro due sorridenti, scattata il pomeriggio del primo giugno mentre stringono la mano al presidente Sergio Mattarella, ovviamente anche lui all’oscuro dei retroscena, è esibita in questi giorni sul sito Internet dell’associazione. Giusto per ricordare il potere della lobby di Griffini.

Eppure il governo sapeva dell’inchiesta su Aibi. Lo si può dedurre dalla risposta in Senato a una delle interpellanze di Giovanardi e dell’ex ministro Maurizio Sacconi. Risposta affidata al viceministro delle Politiche agricole, Andrea Olivero. Era il 5 marzo 2015. «Sono in corso due verifiche sulla permanenza dei requisiti di idoneità degli enti autorizzati e sulla correttezza, trasparenza ed efficienza della loro azione, avviate a seguito di qualificate segnalazioni pervenute», ha dichiarato Olivero. E ha fatto espressamente il nome di Aibi, senza aggiungere altro per non compromettere l’indagine.

I senatori erano quindi informati, così come alcuni alti funzionari del ministero degli Esteri: anche l’ambasciatore italiano a Kinshasa, Massimiliano D’Antuono, e il direttore generale della Farnesina per le Politiche migratorie, l’ambasciatore Cristina Ravaglia, erano al corrente che l’associazione di Griffini fosse sotto osservazione per gravi irregolarità, che per questo motivo le fosse stato revocato l’incarico di adozione di decine di bambini e che come ritorsione Aibi stesse cercando di guastare i buoni rapporti tra Italia e Congo, per attribuirne la colpa alla Cai e alla Presidenza del Consiglio.

Tra le “qualificate segnalazioni pervenute” non c’era soltanto l’inchiesta sui bambini di Goma. Il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, in un provvedimento deciso in camera di consiglio il 13 maggio 2014 dal presidente Roberto Di Bella con altri tre giudici, aveva già censurato Griffini per aver omesso di denunciare una rete di pedofili che violentava i bambini in un orfanotrofio in Bulgaria e produceva con loro film pornografici. Una storia rivelata da un’altra inchiesta de “l’Espresso”, che aveva raccolto la testimonianza rimasta inascoltata di tre bambini bulgari adottati in Italia: «Non ci si può esimere dal segnalare l’incongruità delle condotte tenute dagli operatori Aibi e del presidente pro-tempore della predetta associazione che hanno determinato un ritardo negli interventi di tutela», aveva concluso il Tribunale calabrese.

GLI APPARATI DELLO STATO

La sensazione di chi ha rischiato di più nelle lunghe trattative per la liberazione dei piccoli ostaggi in Congo è agghiacciante: è come se apparati dello Stato italiano, dicono adesso, avessero operato nel pieno interesse di Griffini, contro la sicurezza dei bambini già adottati, cioè prossimi cittadini della nostra Repubblica. L’immagine del presidente di Aibi con il capo dello Stato diventa così molto più di una semplice foto ricordo. Sicuramente è una brutta figura per chi ha fornito al Quirinale garanzie sull’invitato, negli stessi giorni in cui gli ultimi bambini erano ancora bloccati in Africa.

Tutti i 151 piccoli adottati, i diciotto in ostaggio a Goma più gli altri, sono ora al sicuro nelle loro nuove famiglie in Italia. Un risultato ottenuto grazie esclusivamente al lavoro riservato e instancabile di Silvia Della Monica e di un ristretto numero di fidati collaboratori che, in questi due anni, hanno anche informato l’autorità giudiziaria per l’apertura dell’inchiesta penale. In questo periodo la presidente della Cai non ha invece potuto riunire la commissione per le adozioni, per evitare fughe di notizie sull’indagine: alcuni membri nominati nell’organo di controllo della Presidenza del Consiglio infatti rappresentano direttamente Aibi attraverso il “Forum delle associazioni familiari”. Soltanto oggi che non sussistono più rischi di ritorsioni sui bambini, “l’Espresso” può finalmente raccontare il resto della storia dal suo inizio. Oltre due anni fa.

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