Giovani
16 ottobre, 2025Le migliaia di giovani e giovanissimi che hanno manifestato per Gaza sono state una spilla negli occhi di chi – e sono stati tanti, in questi anni – li aveva descritti come apolitici, nel migliore dei casi, o come fannulloni disinteressati
Qualcosa si è mosso. È presto per dire cosa, se una scintilla estemporanea o l’inizio di una nuova stagione di attivismo e partecipazione politica. «Il nostro Sessantotto», ripetevano in molti nelle piazze gremite degli ultimi giorni. Ma le migliaia di giovani e giovanissimi che hanno manifestato per Gaza e al fianco della Global Sumud Flotilla rappresentano un fatto che molti hanno accolto come inedito: una spilla negli occhi di chi – e sono stati tanti, in questi anni – li aveva descritti come apolitici, nel migliore dei casi, o come fannulloni disinteressati. E invece, in centinaia di migliaia – liceali, universitari, giovani lavoratori – hanno sfilato per chiedere lo «stop al genocidio del popolo palestinese».
«La maggior parte erano persone alla loro prima manifestazione, senza bandiere e senza essere inquadrti in gruppi, che cantavano il coro intonato dal vicino», spiega Elisa Frigeni, coordinatrice dell’Unione degli universitari (Udu) di Milano. «Anche nelle università si ha l’impressione che il vento stia cambiando», continua. «Quando nei giorni scorsi c’è stata l’accoglienza delle matricole, abbiamo visto molti più studenti desiderosi di discutere e partecipare». A Milano, come altrove, le università sono state in prima linea con assemblee, cortei e occupazioni. Un’avanguardia, quella degli atenei, che da due anni chiede lo stop agli accordi di collaborazione con realtà accademiche israeliane e con chiunque sia coinvolto nell’industria della Difesa.
«L’impressione è che si siano rotti gli argini», sottolinea Samuele Ortolini di Cambiare Rotta Milano. «Quello a cui abbiamo assistito non è tanto un rinnovato interesse, quanto una nuova spinta alla mobilitazione. Se prima erano i settori più politicizzati a scendere in piazza e a manifestare, ora sembrerebbe essersi allargato il perimetro. Ci siamo trovati di fronte a un fatto inedito – continua – perché anche dai più giovani è stata ridata centralità a uno strumento di lotta fondamentale, lo sciopero, che i governi degli ultimi anni, e non solo quello Meloni, hanno provato a delegittimare». E in effetti erano molti i giovani che, per la prima volta nella vita, hanno scelto di saltare un giorno di lavoro per scendere in piazza. «La mobilitazione di questi giorni ha avuto come centro la questione palestinese e la Flotilla, ma complessivamente – secondo Ortolini – ha colto la crisi di tenuta della classe dirigente. La Palestina ha catalizzato attorno a sé un malcontento più ampio, che oggi attraversa soprattutto le fasce giovanili del Paese».
Che le manifestazioni su Gaza abbiano assunto da subito una dimensione sistemica è un’impressione condivisa anche da Frigeni. «La protesta delle tende, nata proprio a Milano e poi diffusasi a macchia d’olio in tutta Italia, è stata sì un’agitazione partecipata perché si è tornato a parlare di occupazione, di mettersi in gioco, ma era una mobilitazione molto settoriale, nonostante la nostra narrazione fosse più ampia. Il riaccendersi della questione palestinese ha permesso invece di mettere in discussione un intero sistema: quello capitalistico, colonialista e di oppressione».
L’obiettivo, ora, è non disperdere la marea umana che si è coagulata negli ultimi giorni. E gli studenti, promettono, continueranno a chiedere che anche scuole e atenei facciano la loro parte. Martedì scorso Cambiare Rotta, insieme all’Usb, ha organizzato una conferenza stampa all’Università Bicocca contro la stipula di un progetto di scambio accademico con alcune università israeliane. «Anche in università – conclude Ortolini – si può bloccare tutto. Come? Non ci devono esse- re collaborazioni di ricerca o didattiche con gli atenei israeliani che sono attori direttamente coinvolti nelle politiche di genocidio e di apartheid nei confronti del popolo palestinese». Si chiede alla Bicocca di replicare quanto fatto alla Statale, che lo scorso 16 settembre in Senato accademico ha approvato all’unanimità una mozione che riconosce il «genocidio in corso a Gaza» e impone all’ateneo di interrompere «nuove stipule o rinnovi di accordi con università, istituzioni o attori di altro tipo che siano direttamente o indirettamente implicati nelle violazioni attualmente in essere».
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