Giovani
16 ottobre, 2025Gli studenti del liceo classico Visconti di Roma fanno di una raccolta di testimonianze da Gaza un piccolo caso editoriale. E le voci palestinesi risuonano in tante famiglie romane
Il 15 settembre per gli studenti italiani è iniziato un nuovo anno scolastico. Per i loro coetanei palestinesi che vivono a Gaza è stato un giorno qualunque nel lungo susseguirsi di giorni tutti uguali, bombardamenti, fame, miseria, paura. Senza sogni, senza speranza, senza futuro. “Oggi è terminato l’anno scolastico in Palestina. A Gaza l’anno scolastico non è finito perché in realtà non è mai iniziato. Forse la guerra durerà ancora molto a lungo e non ci sarà nemmeno un nuovo anno. Un’intera generazione ha perso un anno di studi”, scrive Ahmad Fathi Qudaih il 30 maggio 2024.
Pochi giorni dopo il ritorno a scuola, alcuni ragazzi del liceo classico Visconti di Roma vengono a conoscenza della pubblicazione di “Ho ancora le mani per scrivere. Testimonianze dal genocidio di Gaza”. Il libro, curato da Aldo Nicosia, docente di Lingua e letteratura araba all’Università di Bari, è stato scritto per raccogliere fondi per un’associazione che fornisce assistenza ai bambini di Gaza. Il virgolettato di Ahmad è uno dei 222 frammenti di vita vera, testimonianze di persone comuni che raccontano una quotidianità fatta di bombardamenti, terrore, lutti e preoccupazione per un futuro che non c’è. Il genocidio di Gaza è un tema fortemente sentito dai giovani, educati fin dai primi anni di scuola a ripudiare l’orrore di un altro genocidio, quello perpetrato dai nazisti ai danni del popolo ebraico. Chi è nato nel 2005, anno in cui l’Assemblea generale dell’Onu ha istituito il Giorno della Memoria, oggi ha 20 anni e, come tutta la generazione Z, ha partecipato ogni anno, il 27 gennaio, alle iniziative promosse perché simili orrori non si verifichino mai più. Il libro conquista l’attenzione del collettivo scolastico: gli studenti decidono di acquistare decine di copie e di metterle in vendita a scuola, con l’autorizzazione della dirigenza. “Mi chiedo se riuscirò a sopravvivere, se tornerò a fare quelle piccole cose che amavo, sedermi di fronte al mare nelle ore del mattino, ammirare l’immensità del cielo. Tornerò ad ascoltare la musica in riva al mare di notte insieme agli amici? A chiacchierare, ridere, scherzare, cantare e a conversare fino a che si fa mattino?” (Ibrahim Matar). 222 flash sull’orrore quotidiano inflitto a un intero popolo, sulla perdita di tutto: dai piccoli gesti di ogni giorno, come ridere e scherzare con gli amici, guardare il mare, guardarsi allo specchio, fino alla fame, alle mutilazioni, alla morte. “Una donna qualunque sulla faccia della terra potrebbe immaginare che tutte le donne della nostra città non si guardano allo specchio da oltre cento giorni?” scrive Diana Jamal. “Non giunge il mattino né sorge il sole da quando sei mancato. Il buio della tua assenza è troppo grande perché la luce lo possa dissipare”, così Murad Mustafà si rivolge al figlio scomparso. “Trovami la testa di mio figlio, è volata via”. Iman Odeh riferisce le parole di un padre sconvolto che raccoglie i resti del figlio dopo il massacro della sua scuola.
Nicosia ha messo insieme queste testimonianze nella speranza di mantenere il ricordo di chi le ha scritte. Alcuni di loro sono morti, ma il loro grido di dolore arriva fino a noi. La solidarietà genera un piccolo caso editoriale nel liceo: le copie messe in vendita vanno a ruba, le scorte si esauriscono in pochi giorni. Le voci dei testimoni risuonano in tante famiglie romane. E fanno più male perché sono le voci di persone comuni, persone come noi. Ricordi, poesie, riflessioni, denunce, preghiere, per lo più raccolte dall’autore attraverso i social.
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