Garufi aveva solo 21 anni quando, il 19 marzo scorso, ha deciso di togliersi la vita. Lo ha fatto dopo aver affrontato una valanga di insulti e cattiverie sui social, solo per aver condiviso con coraggio il suo percorso di transizione. Quel cammino lo avrebbe portato a diventare Alexandra, la persona che sentiva di essere da sempre. Una persona che desiderava solo essere vista, accolta e amata per ciò che era davvero. La procura ha aperto un’indagine per istigazione al suicidio, cercando di fare luce sulle responsabilità dietro le parole d’odio che lo hanno travolto. Perché l’odio, anche quando si nasconde dietro uno schermo, può ferire profondamente. E nessuno dovrebbe pagare con la vita il prezzo della propria verità.
I suicidi in Italia
La storia di Davide non è un caso isolato. In Italia, i dati più recenti parlano chiaro: nel solo 2021 si sono registrati 3.870 suicidi, con un aumento significativo proprio tra i più giovani, in particolare nella fascia 15-34 anni. Un +16% che racconta un disagio profondo, spesso silenzioso. Tra le cause, accanto alla solitudine e alla fragilità psicologica, c’è anche la pressione sociale, il bullismo, il giudizio implacabile che si riversa soprattutto online. Nel 2023, oltre 7.000 persone si sono rivolte a Telefono Amico per gestire un pensiero suicida, proprio o di una persona cara. Mai così tante. E anche se nel primo semestre del 2024 si è registrata una lieve flessione, i numeri restano drammaticamente alti, ben lontani da quelli precedenti alla pandemia, quando le chiamate erano circa mille l’anno.
Community Lgbtqia+ e prevenzione
E tra chi soffre di più ci sono proprio loro: i ragazzi e le ragazze della comunità LGBTQIA+. Studi condotti anche in Italia, come quelli dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, confermano che il rischio di suicidio tra chi si identifica come omosessuale o transgender è fino a cinque volte superiore rispetto ai coetanei eterosessuali. Perché vivere la propria identità in un mondo che spesso giudica, esclude o deride può diventare, a volte, semplicemente insopportabile. Prevenire è possibile, ma serve agire con strumenti reali. L’Università Bicocca sottolinea l'importanza di percorsi di supporto psicologico specifici per giovani LGBTQIA+, sia nelle scuole che nei servizi territoriali. Serve formare insegnanti e operatori sanitari perché riconoscano i segnali di disagio e sappiano intervenire. E occorre introdurre l’educazione all’affettività e al rispetto delle differenze già nei programmi scolastici, per combattere pregiudizi e isolamento fin dall’infanzia. Non bastano le parole: servono politiche pubbliche e risorse dedicate. In questo quadro, lo psicologo di base, già attivo in Regioni come Lazio, Toscana, Emilia-Romagna e Campania, è un passo concreto per rendere accessibile il supporto psicologico. Anche il bonus psicologo offre un aiuto reale a molti giovani. Ma i fondi disponibili restano limitati: vanno aumentati, perché chiedere aiuto non dovrebbe mai dipendere dalle possibilità economiche.
Non voleva essere un simbolo, ma ora lo è
Davide cercava solo comprensione. Voleva essere sé stesso. Non voleva diventare un simbolo. Ma ora lo è. E la sua voce, anche se spezzata, continua a parlarci. Chiede ascolto, empatia, responsabilità. E ci ricorda che dietro ogni volto c'è una storia che merita rispetto, non derisione. Un cuore che chiede solo di poter battere in pace.
A cura di Francesco Miragliuolo