Siamo abituati a parlare dei politici che vorrebbero arginare i confini e costruire muri addirittura sull’acqua: persino gli imperatori romani mandavano legioni per sottomettere gli intrusi che avanzavano, scriveva Umberto Eco. Ma non riusciamo ancora a parlare adeguatamente dell’estraniazione di chi parte

Cosa vive uno studente fuorisede lasciando Itaca, nonostante i ciclopi

Chi siamo senza un luogo in cui tornare? “Casa è dove cessano tutti i tuoi tentativi di fuga” scriveva Nagib Mahfouz, ma non godiamo di radici in eterno. Siamo abituati a Ulisse, il re tornato nella propria isola dopo aver affrontato ciclopi e sirene pur di riabbracciare Penelope, pur di rivedere la sua Itaca. Tuttavia, persino lui ha percepito uno strano sentore al suo ritorno: sorpreso di scoprire i propri spazi cambiati, nonostante abbia respinto i Proci con arco e frecce, non è detto che sia riuscito a scacciare quella sensazione così ambigua che premeva nel suo petto. 

 

Oggi si parla tanto di immigrazione, ma quest’ultima avviene nel momento in cui “alcune centinaia di migliaia di cittadini di un Paese sovrappopolato vogliono andare a vivere in un altro Paese (per esempio gli italiani in Australia)”, come fa notare Umberto Eco nella sua Bustina Migrazioni. Finiamo così per scambiarla facilmente con i fenomeni migratori, i quali sono sempre stati molto più frequenti, silenti e pervasivi. Come Ulisse, siamo viaggiatori spesso costretti a estirpare le nostre radici: abituati a leggere i numeri di questi fenomeni dall’alto, ci dimentichiamo di raccontare le sensazioni contrastanti delle persone coinvolte, le onde inquiete che vivono al loro interno. Incuranti, non ci accorgiamo che anche all’interno della sfera emotiva degli esseri umani accade una migrazione

 

Uno studente fuorisede che sceglie di navigare lontano da casa raccoglie una sfida che lo imbatterà in acque ancora sconosciute, spesso torbide: un cambiamento che lo porterà a dialogare fra la persona che era e quella che diventerà, sentendosi sulla riva di entrambe. Siamo da sempre abituati a parlare dei grandi politici che vorrebbero arginare i confini e costruire muri addirittura sull’acqua: d’altronde, persino gli imperatori romani mandavano legioni per sottomettere gli intrusi che avanzavano, scrive Eco. Tuttavia, non riusciamo ancora a parlare adeguatamente dell’estraniazione di chi parte, di chi lascia, di coloro i quali vogliono affrontare gli occhi accecati di ciclopi che preferirebbero vederli deboli, come gli studenti stranieri che il presidente Donald Trump vorrebbe espellere da Harvard e far sentire fragili, emarginati. 

 

Bisogna proteggere quel momento di disorientamento interiore, è già lì che uno studente impara a resistere: sentendo la mancanza della propria Itaca a tal punto da detestare anche i dettagli delle novità, idealizzando anche i difetti del proprio passato, rimpiange persino ciò da cui ha deciso di allontanarsi. E poi accade all’improvviso, silente, la migrazione: lasciando la presa su ciò che non gli appartiene più, innervosendosi perché persino Penelope sembra stringere una vecchia versione di lui, torna a Itaca senza essere in grado di riconoscerla. Partire significa anche questo: sentirsi estranei nella propria isola, accettare il dolore di non riconoscersi più nei luoghi che si è tanto amato e detestato, normalizzare l’amara felicità di aver costruito una nuova casa altrove. 

 

I mostri che dall’alto vorrebbero farlo sentire fuori posto non sanno che lo studente si è già sentito tale, ha già attraversato quella sensazione, nutrito nuove radici nonostante il canto di sirene pronte a ricordargli la sua estraniazione. Lo sapeva anche Ulisse: dopo aver sconfitto sirene, ciclopi e persino dei, Dante lo ha immaginato smanioso di spiegare nuovamente le vele, di rituffarsi in mare per seguire “virtute e canoscenza”. Chissà se dopo aver riabbracciato Penelope anche lui ha percepito come distante tutto ciò che lo circondava: per quanto Itaca rimanga sacra, Ulisse ha scritto la sua storia fra le onde, il suo destino lontano dall’isola. Ha compreso che persino il suo momentaneo disorientamento rappresentava la bussola per nuove rotte, un principio di resistenza contro la paura dei mostri che avrebbe potuto trovare negli abissi. Non sono stati gli dei a fermare la sua nave, non saranno ciclopi come Trump a riuscirci.

*Vincenzo Voltarelli è uno studente di Filosofia appassionato degli scritti di Umberto Eco. Ne la rubrica L’Eco della notizia, in occasione dei 70 anni de L'Espresso, pesca dalle storiche Bustine di Minerva nuovi spunti per l'attualità

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