Appartiene al mese di ottobre la notizia secondo la quale, persino all’interno di un tempio del sapere come Oxford, il professor Sir Jonathan Bale ha svelato che i giovani non leggono più (tanto per urlare al mondo una novità): inchiodati sulla croce della generazione che manda a rotoli la cultura occidentale, siamo colpevoli persino di rimanere inermi di fronte al tragico epilogo. Ma in realtà, Umberto Eco era consapevole che noi siamo sempre più affamati di storie: nella sua Bustina "De Mauro, sei pazzo!" si rivolge direttamente al collega Tullio De Mauro dandogli (ironicamente) del folle: aveva osato riportare una ricerca secondo la quale i ragazzi e le ragazze di oggi si immergono nell’universo letterario più delle generazioni precedenti.
Praticamente una bestemmia per chi gongola di fronte al decadimento delle discipline umanistiche: i pochi che tentano ancora di reggerle sarebbero talmente ingenui da trattenere un mondo che non c’è più, fingendo di essere Atlante, si illudono di portare sulle proprie spalle un cosmo che si sta in realtà sgretolando. Tuttavia, un saggista come Jonathan Gottschall ha scritto che noi esseri umani siamo abitanti dell’Isola che non c’è: intessendo narrazioni popolate da personaggi immaginari, creiamo nuove dimensioni attraverso le quali rifugiarci e dare significato al mondo che ci circonda. Gottschall insiste dicendo che le storie sono “gli equivalenti dei bomboloni fritti alla crema”, zuccheri che ci hanno aiutato a sopravvivere e dai quali ora siamo irresistibilmente attratti, tutti.
Eppure, puntualmente, ritorna la retorica dei giovani che hanno smesso di crescere, bimbi sperduti imbambolati ai loro smartphone, abitanti di un’unica, piatta, realtà: utenti digitali senza identità, profili immersi in dinamiche prive di spessore. “Chi è saggio, chi è maturo lo sa”, canta Edoardo Bennato, l’Isola che non c’è “non può esistere nella realtà”. Forse a questo punto saranno impazziti tutti quanti: De Mauro, Eco e Gottschall, i quali si ostinano a credere che la macchina narrativa sia ancora in circolazione, più potente che mai. Abituati ad ammirare il passato, non vediamo che le storie sono più pervasive di quanto immaginiamo: come tatuaggi, marchiano la nostra identità in maniera indelebile.
Sono gli adulti a credere illusoriamente nelle fate se pensano davvero che i giovani abbiano smesso di abitare l’Isola che non c’è: siamo realmente la generazione dei bambini sperduti, affascinata da pirati con gli uncini e coccodrilli affamati. Il pubblico, bramoso di notizie sul declino delle lettere, ha dimenticato l’incredibile capacità degli esseri umani di sedersi intorno al fuoco per raccontarsi storie: ci scordiamo di aver corso con Forrest Gump, volato con Harry Potter, combattuto per il Trono di Spade. Persino i reality show ci ammaliano tramite dinamiche narrative alle quali non riusciamo a resistere: concorrenti che si imbattono in prove da superare, circondandosi di fazioni e inimicizie.
Non siamo noi i pazzi quando notiamo che serie come M - Il figlio del secolo diventano argomento di discussione persino fra i banchi del Parlamento, quando ci commuoviamo grazie a una canzone che sembra ripercorrere proprio la vicenda per cui stiamo soffrendo, quando guardiamo alla nostra vita personale come a una pellicola, all’interno della quale siamo attori che incorrono in imprevisti, innamoramenti e progetti a lungo termine. Persino mentre dormiamo il nostro cervello continua a proporci spettacoli, sogni nei quali siamo protagonisti di trame romanzesche.
Trovandoci di fronte a un mondo conquistato dalle storie, non è la lettura a essere in crisi, ma noi che dobbiamo scegliere a quali trame aggrapparci, a quali essere disposti a credere: temendo potesse diventare deserta, credendo di averla perduta, non ci siamo accorti di aver reso ancora più affollata l’Isola, con tutte le conseguenze (anche ostili) che ciò comporta. Potranno cambiare le modalità, ma non smetteremo di essere suoi abitanti: “Chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle, forse è ancora più pazzo di te”, ricorda ancora Bennato. In questo senso, non siamo mai stati più bambini sperduti di così.