Giovani
9 luglio, 2025“I nostri giovani, se gli va bene, arrivano al potere all’età in cui imperatori, pensatori, artisti e santi del passato erano già morti” afferma Umberto Eco, nella sua Bustina Quanto è bella giovinezza. Ci sentiamo perennemente in ritardo: come Achille, ci misuriamo in base alla velocità con la quale raggiungiamo le nostre tappe, finendo per non raggiungere nemmeno una piccola tartaruga
Prendiamoci un momento per sentirci fuori tempo, bloccati dagli obiettivi nei confronti dei quali ci sentiamo terribilmente in ritardo. Umberto Eco, nella sua Bustina "Quanto è bella giovinezza", redige un elenco di personaggi che hanno costruito la storia del mondo: tanta è la loro leggenda, da far pensare che siano vissuti un’eternità. Niente di più distante dalla realtà: Alessandro Magno ci ha lasciati a 33 anni, Giacomo Leopardi a 39, Wolfgang Amadeus Mozart a 35. La domanda sorge spontanea: noi a che punto siamo? Non siamo una generazione perennemente in ritardo?
Circondati da incertezze, in mancanza di punti di riferimento, rimaniamo inermi ad aspettare che la vita ci scorra davanti. Eppure ci hanno raccontato la storia di Achille, ci hanno insegnato a essere come lui, costruendoci attorno una corazza ferrea e rimanendo impenetrabili: ragazze e ragazzi che hanno forgiato un’armatura così imponente da impedire l’accesso alle proprie emozioni persino a loro stessi. Siamo diventati realmente Achille, correndo: alcuni desiderano una laurea, altri un lavoro, altri ancora una famiglia o anche tutte queste cose messe insieme e molto di più.
Esiste tuttavia una versione del nostro eroe, narrata da Zenone, secondo la quale per quanti sforzi faccia Achille, per quanto continui a correre, non riesca a raggiungere nemmeno una piccola tartaruga. Verso cosa ci affrettiamo? Appartiene al mese di marzo la notizia secondo la quale l’Italia sarebbe ultima per tasso di occupazione rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea, con il divario più evidente che appartiene proprio alla popolazione giovanile e femminile. Inciampando nelle tappe che bramiamo di raggiungere, finiamo per non acciuffare nemmeno una tartaruga. Persino Achille si sarà sentito fuori posto, arrabbiato, deluso, più da se stesso che dal mondo circostante.
Ci accusano persino di essere deboli. Il vicesegretario della Lega ed europarlamentare, Roberto Vannacci, ultimamente si è chiesto: “Quali sono le persone che oggi vengono cresciute nelle nostre scuole con ideali come difesa della patria, onore, sprezzo del pericolo, coraggio?”. Per poi aggiungere: “Davanti alla minaccia russa chi mandiamo? In Toscana di recente c’è stato il Pride: mandiamo questi signori al fronte?”. Eppure, Achille ha deciso di ritornare in battaglia nel momento in cui è venuto a mancare l’amico-amante, Patroclo. Certo, l’omosessualità nell’antica Grecia era un concetto molto diverso da quello attuale e il paragone sarebbe anacronistico, ma non è questo il punto. Fondamentale è che Achille sia diventato il più grande eroe della storia greca scegliendo di lottare a partire dalle sue fragilità, rompendo l’orgoglio di rimanere chiuso nella propria armatura. Solo esponendo le sue paure, il suo vulnerabile tallone, ha combattuto i propri mostri.
Parliamo di una lotta molto diversa da quella di Vannacci, al quale Eco risponderebbe in maniera decisamente profetica: “I nostri giovani, se gli va bene, arrivano al potere all’età in cui imperatori, pensatori, artisti e santi del passato erano già morti. La guerra non è mai stata un buon calmiere, perché di solito fa morire più i giovani che i vecchi”. “D’altra parte i novantenni al potere stanno sempre dove le bombe […] non cadono”. Se invece crede di essere stato educato ai “valori della patria”, che imbracci, il generale Vannacci, il suo fucile: noi lotteremo sempre per ideali differenti.
Achille non riesce a raggiungere la tartaruga non perché sia incapace, e nemmeno perché gli manchi il coraggio: non vuole incrociare il suo sguardo, terrorizzato all’idea di stringere un risultato per poi scoprire, disilludendosi, di aver corso per una gara che non gli è mai appartenuta. Ha paura di leggere nei suoi occhi di aver combattuto per un sogno voluto da altri, di scorgere nella sua iride una vita che non gli appartiene. Dovrebbe accettare di non abitare in una competizione: anche gli eroi con le armature più potenti hanno bisogno del loro tempo, non essendo riducibili al numero degli anni in cui corrono, ma definiti dalle scelte per le quali combattono. Forse, allora, imparerà a inseguire solo ciò che accende la sua passione, senza sentire l’esigenza di paragonarsi a una tartaruga.
*Vincenzo Voltarelli è uno studente di Filosofia appassionato degli scritti di Umberto Eco. Ne la rubrica L’Eco della notizia, in occasione dei 70 anni de L'Espresso, pesca dalle storiche Bustine di Minerva nuovi spunti per l'attualità
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