Giovani
22 settembre, 2025Secondo Umberto Eco, nella sua Bustina "Dov’è andata la morte?", il problema è che noi contemporanei siamo diventati incapaci di venire a patti con la scomparsa, la perdita: tentiamo di tenerle lontane dai nostri occhi
Ventidue non vuole nascere. Vuole rimanere aggrappata alla sua incompiutezza, alla purezza di non essersi mai immersa nel mondo reale. La piccola anima del film d’animazione Soul appartiene all’Antemondo, dove le coscienze vengono preparate a calarsi nei loro futuri corpi, neonati sulla Terra. Prima di cominciare la vita vera e propria, devono scoprire la loro “scintilla”, trovare ciò che può guidarle durante la loro esistenza.
Già un filosofo come Platone, nel mito di Er, ha immaginato un luogo dove le anime scelgono il destino della propria vita futura: a differenza di Soul, questa dimensione coincide con l’oltretomba, dove chi è deceduto disegna i lineamenti della sua prossima esistenza. Vita e morte si mescolano in un’unica realtà e, al di là di miti e cartoni animati, spesso ci dimentichiamo che le cose stanno così. Secondo Umberto Eco, nella sua Bustina "Dov’è andata la morte?", il problema è che noi contemporanei siamo diventati incapaci di venire a patti con la scomparsa, la perdita: tentiamo di tenerle lontane dai nostri occhi.
Ci insegnano, secondo il celebre scrittore, “che la morte si consuma lontano da noi in ospedale, che di solito non si segue più il feretro al cimitero, che i morti non li vediamo più”. Li osserviamo nei film, sui social, ma sono scomparsi dal nostro sguardo diretto. Anche negli omicidi: “Ci fanno vedere gli amici piangenti che recano fiori sul luogo del delitto, suonano alla porta della mamma per chiederle ‘cosa ha provato quando hanno ucciso sua figlia?’. Non si mette in scena la morte, bensì l’amicizia e il dolore materno”.
Lontano dal nostro orizzonte, dimentichiamo che il finale è già parte della pellicola che recitiamo. Pur appartenendoci dalla nascita, tentiamo di estirpare il pensiero: tuttavia, così facendo, oltre a esserne solamente più terrorizzati, crediamo che possa diventare un luogo d’evasione. Di problema, se ne aggiunge un altro. Ricordiamoci: 22 non vuole nascere.
Ha il sentore che ciò che l’universo le stia preparando non faccia per lei: rimanere nella propria bolla diventa una pensiero fisso, concreto. Forse, osservando dall’alto la Terra e i suoi abitanti, percepisce già di sentirsi una scatola vuota, di non essere capace di vivere con la leggerezza che ad altri sembra appartenere spontaneamente. Trova insopportabile l’idea di non riuscire a trovare la sua scintilla, il suo posto nel mondo: teme che la sua identità non possa infilarsi fra le rigide griglie dell’ordinarietà.
Se qualcuno intorno a noi crea l’inferno, credere che il cielo sia un luogo separato, diverso, magari migliore, può diventare una speranza per chi ha dovuto sopportare troppi macigni sulle proprie spalle. Così, tormento dopo tormento, una persona si spegne: o in un silenzio che trattiene tutto il dolore, o nel modo più conclusivo. Paolo ha scelto il cielo per non sopportare ancora le sofferenze e la solitudine che ha subito. Si è spento nella sua casa, a 14 anni. Una tragedia ancora più grande se abbiamo il sospetto che volesse evadere da un luogo che avrebbe dovuto proteggerlo. Il termine “scuola” deriva dal greco “scholé” e originariamente significava “tempo libero”: occorre chiarire le responsabilità di chi ne ha modellato le pareti trasformandole nelle fredde sbarre di una prigione. 22 capirà, grazie al suo mentore, che l’unica scintilla necessaria per vivere è quella di essere se stessa, ricordandosi che la vita non è una corsa a inserirsi in schemi predefiniti, ma attitudine a riscoprirsi nel suo percorso: cambiando gusti, passioni, desideri, ma che provengano sempre da un impulso, tutto proprio, di autenticità.
Ti chiedono di perdonarci Paolo, se il luogo che in questa terra avrebbe dovuto farti da mentore di libertà ti ha lasciato da solo, precludendoti quella strada. Ma noi non dovremmo perdonarci, finché contribuiremo a costruire una realtà che conduce alla morte come evasione, come rifugio dal sentirsi sbagliati, inadeguati. Finché educheremo a tarpare le ali, differenti, delle anime altrui: finché altre 22 non vorranno nascere, perché intorno scorgono il loro inferno.
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