I 70 anni de L'Espresso
18 novembre, 2025Con Scalfari fondò e diresse il nostro settimanale. Un maestro nel creare uno strumento di consapevolezza per i lettori. Il suo carteggio digitalizzato da L’Espresso
Sarebbe stato il primo romanzo sugli anni di piombo, quando se ne avvertirono le prime scosse, ma è rimasto inedito dopo un iniziale tentativo di pubblicazione. Scritto rapidamente nel 1974, il manoscritto fu titolato Sequestro di personadal suo autore, Arrigo Benedetti, giornalista e romanziere, insieme con Eugenio Scalfari, padre de L’Espresso dopo aver dato vita ai primi rotocalchi italiani, da Oggi a L’Europeo. Una vita – fra la sua Lucca, Roma e Milano – dedicata al giornalismo e alla narrativa, con una passione letteraria che ora ci consegna anche una traccia inedita, l’unica rimasta tale, in aggiunta ai tredici romanzi pubblicati dal 1933 al 1979, da “Tempo di guerra” alle ultime due opere postume, “Cos’è un figlio” e “Diario di campagna”.
Il manoscritto, di cui offriamo una piccola anticipazione nelle pagine che seguono, ripercorre un rapimento politico con personaggi di fantasia, dietro i quali si individuano facilmente il giudice Mario Sossi e i terroristi delle Brigare Rosse. È il sequestro dell’aprile 1974, evento che sorprese un’Italia che proprio in quelle settimane si avviava verso il referendum sul divorzio. Il rapimento – che si concluse con la liberazione del giudice da parte dei carcerieri – è ricostruito da Benedetti «sia pure con elementi di finzione», sottolinea Nunzio Bellassai, giovane ricercatore dell’Università La Sapienza, che ha cominciato a curare quelle pagine. «Riprendendo il modello kafkiano, non è chiaro – osserva lo studioso – perché il sostituto procuratore Enrico Guardabassi sia stato rapito, ma, a un certo punto, si rivela che il protagonista si è trovato al centro di un processo clamoroso, legato al terrorismo, avvenuto poco tempo prima». Alla lettura del romanzo, Bellassai è giunto partendo da Vitaliano Brancati e dal carteggio con il giornalista-romanziere toscano negli anni Cinquanta, quelli che videro la proibizione di una commedia dello scrittore siciliano, La governante, nota vicenda che suscitò la polemica sulla censura in Italia, e per la quale Benedetti espresse la propria solidarietà a Brancati, anche nel solco di un’amicizia cementata dall’esperienza de L’Europeo.
Da una lettera del 1952, lo studioso di italianistica è risalito all’archivio, ancora inesplorato, di Benedetti, grazie al nipote del giornalista toscano, che del nonno paterno porta il ricordo già nel nome di battesimo. Arrigo, autore televisivo, ci mostra i trenta faldoni che racchiudono carte preziose per la storia del giornalismo: d’accordo con la zia, Agata Benedetti Ferrari, il progetto – ci dice – è quello di destinarle definitivamente a Lucca, città natale del grande direttore, «in una sede che sia la più adatta per la nascita del Fondo Benedetti». Va anche ricordato che dal 2011, è attivo il Premio Arrigo Benedetti a Barga. Lì, in quel comune del Lucchese, c’è anche un fondo librario del giornalista, custodito dalla biblioteca comunale “Fratelli Rosselli”. Le carte inedite emergono alla vigilia cinquantenario della scomparsa, 2026. Saranno digitalizzate a cura de L’Espresso, e al pari dell’archivio del giornale diventeranno fruibili. L’annuncio all’evento dei 70 anni de L’Espresso il 19 novembre a Palazzo Brancaccio, a Roma.
Il carteggio è costituito prevalentemente da lettere indirizzate al giornalista, quando per la corrispondenza si usava generalmente la penna, talvolta la macchina da scrivere, e non sempre con la carta copiativa. Poche le lettere di Benedetti. Ma c’è il manoscritto, che fotografa la svolta drammatica dell’Italia anni Settanta, quattro anni prima del caso Moro: il rapimento come arma politica e di ricatto. Troppo presto dal punto di vista degli editori, per trattare il tema, oltre tutto in una forma romanzata? Benedetti aveva lasciato da due anni la direzione del settimanale Il Mondo, dopo il passaggio della testata all’editore Rizzoli. A partire dal novembre 1975, il giornalista affronterà l’ultima sfida: la direzione di Paese Sera, lo storico quotidiano romano di area comunista. «Seguo il tuo impegno personale e di tutto il giornale per migliorare e per espandersi», lo incoraggia Enrico Berlinguer. Il passaggio al quotidiano filo-Pci avviene dopo la vittoria del divorzio nel referendum del maggio 1974 e la successiva svolta a sinistra segnata dalle amministrative dell’estate 1975, che vedono settori dell’intellettualità laica e cattolica avvicinarsi a Botteghe Oscure.
L’ improvvisa scomparsa avvenuta il 26 ottobre 1976 interrompe l’ultima avventura giornalistica che Benedetti ha affrontato senza rinnegare nulla, lui liberale di sinistra, come Eugenio Scalfari, anche se fra i due, al di là della stessa estrazione ideale, si è consumata la rottura del 1967 sul Medio Oriente. Dopo aver rivendicato la “superiorità morale” di Israele nella Guerra dei Sei Giorni, Benedetti lasciava L’Espresso in dissenso con la linea editoriale di Scalfari, il suo ex numero due subentrato qualche anno prima nella direzione. Benedetti è stato il giornalista più vicino a Mario Pannunzio. Pronto, il direttore de Il Mondo, a offrire una collaborazione di primo piano al vecchio amico, dopo l’uscita dal settimanale L’Europeo avvenuta per un insanabile contrasto con l’editore Rizzoli nel 1954: «Il Mondo è oggi il tuo giornale per qualunque cosa». E quando nel 1969 sarà proprio il giornalista di Lucca a riportare in edicola Il Mondodue anni dopo la scomparsa del fondatore, la continuità sarà testimoniata anche dai frequenti interventi di Ugo La Malfa, interlocutore privilegiato del nuovo direttore, come il maggiore esponente del terzaforzismo laico-democratico lo era stato con Pannunzio. Ma, prima di tutto, c’è in una vita segnata dall’ «ottima scuola» di giornalismo, secondo le parole di ringraziamento indirizzate da Oriana Fallaci al suo direttore (dopo l’esperienza de L’Europeo). È il «metodo Benedetti» così ricordato da Nello Ajello, indimenticabile firma de L’Espresso: «L’approccio verso i lettori doveva essere piano, colloquiale, discorsivo; i termini ermetici venivano aboliti con un’attenzione che rasentava, specie in Benedetti, la monotonia; gli aspetti umani, personali, aneddotici delle vicende politiche o culturali erano esplorati e messi in risalto con acume, l’interesse si concentrava sulle persone anziché sulle formule».
C’era anche il momento in cui il giornalismo difendeva i propri confini rispetto alla narrativa. È il momento che il futuro fondatore di grandi giornali così fissava negli anni giovanili – 1934 – in una lettera (edita sulla rivista Nuova Antologia nel 1992): «Il giornalismo come Lei me ne parlò sembra l’unica via per non rovinarmi in scemenze. Far cronache – confessava a Giovanni Ansaldo – non è mai una perdita semmai un guadagno. Credo che ci si guadagni soprattutto moralmente … I personaggi dei nostri romanzi sono falsi forse mancando agli autori il senso di quell’equilibrio che si può avere solo al contatto della vita non dei libri». Parole di un ventenne, che forse ci aiutano a capire il perché di Sequestro di persona. Non solo un romanzo ma anche, con l’attenzione al presente, una testimonianza giornalistica di altissimo valore, che ora finalmente merita un editore.

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