Frodi fiscali per milioni di lire avevano messo in difficoltà le casse dello Stato italiano alla fine degli anni Cinquanta. Non si trattava, tuttavia, delle ben più note e ben meno ingenti scappatoie legali dei divi cinematografici, che pur avevano surriscaldato l’opinione pubblica. Erano gli uomini al potere in Vaticano ad avere i maggiori debiti con lo Stato. Nove funzionari, per l’esattezza, di cui L’Espresso fece nomi e cognomi, riportando anche l’ammontare del loro reddito dichiarato, rasente l’indigenza e perciò non compatibile con i ruoli rispettivamente ricoperti. Il silenzio che avvolgeva, tuttavia, gli illeciti fiscali dei potenti funzionari creava un grave ma diverso problema, secondo il giornale. Così come accaduto per l’inchiesta sulla speculazione edilizia del 1955-1956 (Capitale corrotta = nazione infetta), il «conformismo generale» dell’opinione pubblica e soprattutto della stampa creava un bavaglio invisibile e un clima di tensione che solo alcune testate, tra cui L’Espresso, come scritto nella prima pagina dell’11 gennaio 1959, provavano ad affrontare alle proprie condizioni. A proposito di militanza, non a caso, nella restante parte della copertina, il giornale portava avanti il suo supporto a un grande tema sociale e culturale di quegli anni: la necessità di un nuovo diritto di famiglia, che comprendesse il divorzio. L’unica foto in copertina, che ritrae Sophia Loren e Carlo Ponti, rimanda infatti all’interno a un articolo sulla denuncia per bigamia ricevuta dalla coppia, sposatasi in Messico per procura dopo il divorzio di Ponti dalla prima moglie. Nell’articolo di Mino Guerrini a pagina 11 si comprende quanto una tale denuncia avrebbe potuto distruggere la carriera dell’attrice, che a quel tempo viveva a Hollywood per un contratto con la Paramount. La coppia, perciò, decise di non rientrare in Italia e di negare le nozze, per poi risposarsi nel 1966, con la cittadinanza francese. Il divorzio in Italia venne introdotto per legge solo nel dicembre 1970.