«Un rimpasto ministeriale dovrebbe essere cosa da poco, una questione di poche ore», si legge nella prima pagina de L’Espresso del 28 febbraio 1965. Per l’onorevole Aldo Moro, a capo di un governo di coalizione fra Dc, Psi, Psdi e Pri, non era tuttavia tutto così semplice. Erano trascorsi due mesi infatti dall’elezione del 28 dicembre 1964 che aveva portato il ministro Giuseppe Saragat al Quirinale. Le successive e frequenti riunioni tra gli uomini della Democrazia cristiana e del partito socialista, seguite da reciproca insoddisfazione, creavano un clima di crisi di governo palpabile, anche se non annunciata. Il problema, tuttavia, era negli uomini e non nelle idee, affermava L’Espresso in copertina, tanto da attaccare direttamente il presidente del consiglio Moro, ritratto a figura intera sulla pagina. Per il giornale si trattava di «un uomo di alto intelletto e di grande probità, ma inadatto come pochi a dirigere un governo, specie in momenti difficili» come quelli attraversati dall’Italia all’inizio del 1965, in un contesto politico ed economico in bilico. L’Espresso denunciava la mediocrità degli uomini al governo e la cattiva gestione di alcuni episodi fondamentali della vita pubblica e politica in Italia, a partire dal “Vicario” di Gian Maria Volontè, brevemente citato in copertina. Ciò a cui fa riferimento il giornale è l’irruzione della polizia durante la prova aperta dello spettacolo che criticava il silenzio di papa Pio XII di fronte all’Olocausto. Un’azione di polizia che andava contro la laicità dello Stato dettata dall’art.7 della Costituzione. Anche senza considerare le interpretazioni sul Concordato con la Chiesa, la laicità e la libertà di opinione, restavano diversi grandi problemi in sospeso nel governo Moro II, irrilevante secondo il giornale soprattutto in materia economica, alle porte di una crisi prevedibile dopo la rapida crescita.
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