Nel 1982 L’Espresso diretto da Livio Zanetti scopre le torture della polizia sui brigatisti arrestati dopo il sequestro del generale James Lee Dozier. A seguire il caso è Pier Vittorio Buffa, che per il primo dei suoi articoli sulla vicenda viene anche arrestato

I brigatisti torturati dallo Stato

Una pagina davvero oscura della storia democratica italiana si riflette nella copertina nera de L’Espresso del 21 marzo 1982. Il titolo di apertura (“In Italia c’è la tortura?”) si riferisce al secondo dei tre articoli principali scritti da Pier Vittorio Buffa sul trattamento violento riservato ai brigatisti arrestati dalla polizia. Il primo pezzo, quello che diede inizio all’inchiesta voluta dal direttore Livio Zanetti, uscì il 28 febbraio 1982. Includeva colloqui clandestini di Buffa con alcune fonti interne della polizia che il giornalista rifiutò di rivelare al pubblico ministero di Venezia, venendo così arrestato. L’esperienza nel carcere di Venezia, tuttavia, permise a Buffa di entrare in contatto con altri detenuti politici torturati dalla polizia ed è proprio di questi colloqui che il giornalista, tornato libero, scrisse nell’articolo del 21 marzo. Nel medesimo articolo Buffa segnalava anche l’esistenza di alcune lettere di denuncia di agenti di polizia sconvolti dalla frequenza con cui la tortura veniva applicata su persone arrestate per terrorismo. La settimana successiva, inoltre, sempre su L’Espresso Buffa si occupò invece della risposta del sindacato della polizia di Venezia. Tutto ciò che il giornalista aveva scritto, comprese le tecniche di waterboarding a cui i brigatisti erano sottoposti, con il rischio di soffocamento, vennero poi confermate molto anni dopo, nel 2012, sempre a Buffa da Salvatore Genova, commissario di polizia imputato ma mai condannato per le torture ai sequestrati di Dozier. La testimonianza di Genova ha permesso anche di confermare che esisteva una squadra apposita, guidata da Nicola Ciocia, il cosiddetto professor De Tormentis, che secondo l’ex commissario non era nata spontaneamente ma decisa a livello ministeriale dopo l’uccisione di Aldo Moro.

 

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