Il 15 dicembre 1992 Bettino Craxi ricevette il primo di numerosi avvisi di garanzia dalla Procura di Milano nell’ambito delle indagini per corruzione portate avanti dal pool di magistrati di Mani Pulite. L’avviso venne considerato il punto d’arrivo della lunga inchiesta della magistratura, e suscitò un forte sentimento “anticraxiano”. Il leader socialista, tuttavia, dall’Hotel Raphaël dove soggiornava a Roma, lo stesso giorno rese pubblica una dichiarazione ufficiale in cui cui rigettava le accuse e gridava al complotto. Scriveva: «Considero questa della procura della Repubblica di Milano una iniziativa del tutto infondata che si trasforma in una vera e propria aggressione contro la mia persona secondo finalità che possono essere politiche ma non certo di giustizia. Anche questo appare del resto come il punto di passaggio di una più generale campagna ben orchestrata contro di me, che dura ormai da mesi e che tutti hanno potuto vedere perfettamente». La sua dichiarazione arrivò anche dopo le critiche al giudice Antonio Di Pietro, pubblicate da Craxi su l’Avanti! sotto pseudonimo. I magistrati non furono inoltre gli unici destinatari dell’astio del leader socialista, infatti dopo l’avviso di garanzia si inasprì anche il rapporto con i giornalisti, soprattutto del Corriere della Sera. È a questo atteggiamento che fa riferimento la copertina de L’Espresso del 20 dicembre 1992, cinque giorni dopo l’avviso di garanzia, accompagnata dall’ironico gioco di parole «Non diciamo craxate».

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