'In tutto il mondo 40-50enni lavorano per proteggere se stessi, i propri interessi e ciò che possiedono. Discriminando la generazione successiva, che ragiona in modo diverso perché è cresciuta nel Web'. La provocazione del filosofo e futurologo svedese Alexander Bard

«Siamo in guerra con i nostri figli. C'è una generazione di 40-50enni che lavora per proteggere se stessa, i propri interessi e ciò che possiede usando strumenti di controllo del mercato e della società che sono altamente discriminanti nei confronti delle generazioni più giovani. E questa è l'esatta ragione per cui c'è una disoccupazione di massa tra i giovani di età tra i 20 e 25 anni».

A parlare è Alexander Bard, filosofo, scrittore, artista e produttore musicale svedese, autore insieme a Jan Söderqvist della 'Futurica Trilogy', serie di saggi sulla rivoluzione portata in dote dall'avvento di Internet.

Lo abbiamo raggiunto a margine dell'intervento che forse ha più entusiasmato l'esigente pubblico del Next Berlin 2012. Dove Bard ha spiegato quali sono secondo lui gli effetti più impattanti, dal punto di vista sociale, della rivoluzione di Internet.

«Quelli che sono cresciuti in Rete sono 'dividui' e non più 'individui'», dice Bard. «La parola individuo non serve più e definire come i giovani percepiscono se stessi oggi: divisi, in pezzi, molteplici. Un mosaico di personalità digitali. Né migliori né peggiori. Solo molto diversi. Le nuove generazioni vivono in questa condizione schizofrenica, si vedono e sentono divisi in tanti pezzi quante sono le identità che riescono gestire on line, sui vari siti e social network. E cosa ancora più importante, non percepiscono questo come un problema, ma come un valore», un asset del nuovo vivere digitale. E anzi, tra i giovani «quelli che sono di maggior successo sociale sono anche quelli che riescono a gestire il maggior numero di personalità contemporaneamente».

Ok, ma essere 'dividui' è un bene o un male? «Non parlo mai di bene e male nel mio lavoro. Io mi occupo di differenze. Il mio compito è definire il cambiamento», spiega Bard. «Credo che la tecnologia sia ormai del tutto fuori dal nostro controllo e che questo sia un problema soprattutto per gli europei, perché noi siamo da sempre abituati all'idea controllare il mondo, lo addomestichiamo, lo sfruttiamo, lo abbiamo colonizzato. Il mondo è nostro».

E' stato così in passato, appunto. Ma ora le cose stanno in un altro modo e «l'evoluzione tecnologica è la forza drammatica che sta guidando un cambiamento che possiamo solo accettare, cui dobbiamo  adattarci, cercando rapidamente di comprendere come ci sta trasformando, come cambia il modo in cui vediamo noi stessi, la nostra comprensione del mondo e, soprattutto, come acuisce la differenza tra le varie generazioni».

Già perché, fa notare Bard, «c'è una differenza drammatica oggi tra come vede il mondo una persona di 40 anni e come lo vede una di 20. E noi dobbiamo capire quella differenza perché la tecnologia ci divide e ci mette uno contro l'altro in termini economici molto concreti».

Di qui la guerra contemporanea tra giovani e maturi. Una situazione in cui «chi è al potere non si rende conto di stare allevando una generazione profondamente risentita, e che avrà un solo strumento per consumare la propria vendetta». E quello strumento è ovviamente Internet, trasformato in arma letale e impiegata nello scontro finale tra generazioni.

Sembrerebbe il peggiore dei mondi possibili, e in effetti minaccia di esserlo se non ci diamo una mossa a capire cosa ci succede intorno: «Dobbiamo discutere della nuova società e della nuova struttura di potere che stiamo creando usando Internet - ammonisce Alexander Bard - e di come quello in cui viviamo sia radicalmente differente dal vecchio mondo al quale eravamo abituati».

Un esempio concreto può aiutare a dare la misura di ciò che intende lo scrittore svedese: «Il fatto stesso che oggi sia possibile avere amici in tutto il mondo, cambia radicalmente e velocemente la nostra geografia mentale, la espande ed arricchisce. Ma consente anche a sottoculture un tempo costituite da piccole comunità un tempo divise e sparse in tutto il pianeta di trovarsi, organizzarsi e improvvisamente diventare visibili. E potenti». E' così che stanno nascendo e nasceranno i movimenti che nei prossimi anni avranno la forza di cambiare il mondo.

Nel bene, ma anche nel male: «Al Qaeda è un esempio potente in questo senso. E noi tendiamo a dimenticare che essa è un fenomeno della rete tanto quanto lo sono Facebook o Google e che abbiamo grosse possibilità di ritrovarci nei prossimi anni con una Al Qaeda cristiana e americana, un gruppo di estremisti religiosi pieni di risentimento che avranno realizzato di non poter ottenere il potere senza esercitare la violenza». E che useranno la rete per organizzarsi.

Ricapitolando, la lezione di Bard non è che Internet sia un male da combattere, anzi. La questione è che uno strumento potentissimo il cui impatto sulle nostre vite è ancora tutto da comprendere. E che quando si dice che dà forza e capacità alle persone, si intende a tutte le persone, buone o cattive che siano. «Internet non è qui per salvarci ma, semplicemente, è qui. Creandola, abbiamo liberato qualcosa di enormemente potente che non capiamo e che nel 21° secolo ci aiuterà a fare cose fantastiche, ma che al contempo ci costerà anche distruzione e scatenerà conflitti. La rivolta in Siria ne è un esempio perfetto e credo che molte delle prossime guerre nasceranno da dentro la rete».

Impossibile non concludere chiedendo a Bard qual è secondo lui il bene maggiore portato in dote da Internet. Lapidaria la risposta: «La miglior cosa che ci ha dato è stata offrire un'opportunità vera e concreta agli affamati, ovunque essi si trovino e qualunque cosa abbiano in mente di fare». Ottimo. Peccato questa sia anche potenzialmente il dono peggiore, perché essa è uno strumento potente anche nelle mani chi ha intenzioni violente e distruttive. Non combattere il cambiamento, ma esserne finalmente parte, comprenderlo e metterlo a frutto per il bene comune potrebbe essere la nostra unica via d'uscita.