Uscirà a febbraio in Italia il film 'Hitchock', che racconta la lavorazione del celebre 'Psyco'. A L'Espresso l'attrice americana, che interpreta il ruolo di Janet Leigh, racconta cosa vuol dire rivivere sul set un film di culto. E spiega come ha imparato a convivere con la sua immagine di sex symbol
Melanie Johansson ha sempre amato il cinema e sin da quando sua figlia Scarlett era piccolina la trascinava con sé nelle sale o se la metteva al fianco mentre riguardava i classici alla tv. Hitchcock, in particolare: la mamma aveva una fissazione per lui e Scarlett Johansson si dovette sorbire per la prima volta "Psycho" a soli sette anni. «Al massimo ne avrò avuti otto», precisa parlando con "l'Espresso": «Ne restai terrorizzata e quando poi l'ho rivisto molte altre volte ho sempre chiuso gli occhi per la paura. Non penso di avere mai guardato per intero la scena della doccia prima dei 25 anni».
Solo tre anni dopo aver visto interamente quella scena, il destino ha voluto che l'attrice la interpretasse in una pellicola che si intitola "Hitchcock" ed è un "film sul film" centrato proprio sulle riprese di "Psycho". Per la regia di Sacha Gervasi, Anthony Hopkins è il grande Hitch, Helen Mirren è la moglie Alma Reville e la Johansson interpreta Janet Leigh, protagonista di "Psycho". Con tanto di scena della doccia con lei che entra ignara, il vapore che annebbia la tenda, poi l'ombra dell'assassino e la lama del suo coltello, quindi l'urlo di terrore, l'acqua che scorre, diventa rossa e infine l'occhio inerte della vittima. «All'inizio non ci pensavo troppo, ma poi quando si avvicinava il giorno della doccia sono entrata in ansia», ricorda Scarlett: «Sono tornata a rivedermi quella scena varie volte e devo dire che alla fine è stato davvero difficile entrare nella parte di un'attrice che recita la parte di un'altra attrice, anzi, di una vera star».
Per l'intervista Scarlett indossa un tailleur classico nero di Yves Saint Laurent. Anche le scarpe con tacco vertiginoso sono della maison francese. Offre l'immagine di una donna sofisticata, informata, matura, curiosa, che parla con entusiasmo di Obama, che si appassiona quando si discute di ambiente e di rifugiati, che - anche se tanti la percepiscono come una star o una bomba del sesso - si vede come una persona normale e più fortunata di tante altre. «Una stella buca lo schermo e non puoi toglierle gli occhi di dosso perché ha un qualcosa di magico», aggiunge schermendosi: «Io sono solo una che ha la fortuna di avere un lavoro che ama: anzi, quando ho del tempo libero non so mai bene che cosa fare».
Dopo che Robert Redford la rese popolare scegliendola, appena quattordicenne, come coprotagonista di "L'uomo che sussurrava ai cavalli", per Scarlett vennero alcune parti minori fino al 2003, quando Sofia Coppola ne fece la protagonista femminile del suo "Lost in Translation". Aveva 18 anni, Scarlett. E sin dalla prima scena, in mutande sul bordo del letto con le spalle alla cinepresa, si impose come un prorompente sex symbol. Aveva la pelle pallida, i capelli ricci, la voce vellutata e seducentemente roca, i labbroni carnosi e carnali e curve notevoli in tutti i posti giusti. E anche se rappresentava l'opposto della donna secca, spilungona e algida imposta dalla moda, venne eletta "Sexiest Woman Alive" e anche "Babe of the Year". Come se tutto questo non bastasse ci si è poi messo Woody Allen che, dopo averne fatto la sensuale protagonista di "Match Point", l'ha rivoluta poco dopo in "Scoop" e in "Vicky Cristina Barcelona". «Una bellezza devastante», ha detto di lei il regista newyorchese. «Sono solo mode che inevitabilmente si esauriscono», commenta invece l'attrice se le si chiede di parlare del suo sex appeal e di tutti i titoli coniati per lei. «Quando ti succede a 19 o vent'anni, dici: bello! Ma a costo di apparire viziata o snob, devo dire che dopo un po' diventa noioso, ed è bello ora sentirmi fuori da tutto questo. Mi sento meno incasellata e più libera, perché con l'avanzare dell'età puoi fare ruoli più ricchi e complessi».
Anche se sembra di conoscerla da sempre, Scarlett ha solo 28 anni. Tende a prediligere il cinema intimo, ma recentemente ha detto sì a due blockbusters, "Iron Man 2" e poi "The Avengers", dove è stata la Vedova Nera con capelli rossi e tuta superattillata, un ruolo che le ha portato una nuova leva di fan. «È bello avere del pubblico nuovo che vuole sapere tutto sul tuo personaggio», dice. E adesso? Dopo "Hitchcock" sarà nelle sale con "Under the Skin", dall'omonimo bestseller di Michael Faber, nella parte di un'aliena dotata di un vorace appetito sessuale che mangia davvero gli uomini e poi "coltiva" parti del corpo delle sue vittime. Ha finito di girare anche "Don Jon's Addiction", diretto da Joseph Gordon-Levitt in cui è l'oggetto dell'ossessione di un pornomane. E poi sarà l'ennesima Lucrezia Borgia, questa volta per la regia di Neil Jordan.
A metà tra il sex symbol giovanile e la donna matura, Scarlett Johansson è insomma molto occupata. E non solo con il cinema. Un paio di anni fa ha inciso un disco con Peter Yorn, "Break up". Mantiene lucrosi contratti come testimonial di case come Calvin Klein, L'Oréal e Louis Vuitton. E se c'è qualcuno che non riesce ad aspettare l'uscita di "Hitchcock", dal 21 febbraio nelle sale italiane, e ha invece la possibilità di passare per New York, dal 17 gennaio e sino al 31 marzo si esibirà ogni sera al Richard Rodgers Theater in "La gatta sul tetto che scotta". Dopo "Uno sguardo dal ponte" di Arthur Miller, con cui nel 2010 ha vinto un Tony Award come migliore attrice protagonista, eccola di nuovo a Broadway nella parte di Maggie, la seduttrice di Tennessee Williams già interpretata da attrici come Elizabeth Taylor, Ashely Judd e Kathleeen Turner. «L'hanno tutte "ipersessualizzata"», lamenta la Johansson, che la renderà meno sexy e provocante. Perlomeno, intende provarci.