C’è chi vuole solo farci un giretto intorno, chi progetta una toccata e fuga e chi intende stabilirsi in pianta stabile. Chi è mosso dalla curiosità o dallo spirito d’avventura, chi dalla ricerca di un’alternativa in caso di catastrofi qui sulla Terra, e chi ci vede un’occasione per far soldi. Fatto sta che si ingrossano le file di agenzie governative e privati ingegnosi che hanno messo gli occhi sul pianeta più vicino al nostro. E che intendono dar seguito a quanto proclamava un secolo fa il pioniere aerospaziale russo Konstantin Ciolkovskij: «La Terra è la culla dell’umanità. Ma non possiamo restare per sempre nella culla». E allora, via verso Marte: un viaggio di 250 giorni e un pianeta ben poco ospitale, ma i progetti fioccano, anche firmati Nasa ed Esa.
Certo, il più originale e il meno credibile è Dennis Hope, che su Marte non intende mettere piede, ma lo vende standosene tranquillo in Nevada. Nel 1980 Hope ha visto un’opportunità in una scappatoia legale: il Trattato internazionale sullo spazio extra-atmosferico del 1967 proibisce a qualsiasi paese di accampare diritti esclusivi su un corpo celeste. Ma non ai privati. Così ha presentato alle autorità Usa il suo atto di proprietà per l’intero Sistema solare, tranne il Sole e ovviamente la Terra. «È registrato e nessuno lo ha mai contestato, quindi per me è valido», assicura. E ora vende appezzamenti di Luna, Marte, Venere o Mercurio, a prezzi modici: 19,99 dollari per un acro (mezzo campo da calcio), con sconti per quantità. Con soli 250 mila dollari in comode rate si può divenire i padroni esclusivi di Mercurio. Hope dice così di aver venduto oltre un miliardo di acri, incassando 11 milioni di dollari. Anche se, a dispetto delle dichiarazioni bellicose, non manca di tutelarsi: su consiglio degli avvocati, il certificato di proprietà, che l’acquirente riceve con la mappa del pianeta e gadget vari, precisa in piccolo che è un «novel gift», un regalo di fantasia, come le banconote o i passaporti di stati inesistenti.
Ma privato o pubblico che sia, cosa ci faccio con qualche acro di Marte? Le maggiori agenzie spaziali e diversi privati facoltosi hanno piani più o meno concreti per inviarci spedizioni umane. Ma l’imprenditore olandese Bas Lansdorp è più ambizioso: con la sua società Mars One vuole mandarci dei coloni a vivere per sempre. Senza prospettiva di ritorno.
Per quanto folle appaia l’idea, oltre 200mila aspiranti marsonauti si sono candidati. 700 hanno superato le prime selezioni: tra questi anche 11 italiani che “L’Espresso” ha ritratto nell’aprile scorso. A breve l’ultima scrematura: ne rimarranno 24, che presto inizieranno gli otto anni di addestramento previsti. Da programma, dal 2018 partiranno i voli preparatori che serviranno da prove tecniche e porteranno su Marte le abitazioni e le scorte di materiali, e nel 2024 salperà il primo equipaggio di quattro persone, che approderà sul pianeta rosso l’anno dopo, seguito da un altro quartetto ogni due anni circa. Il tutto al costo di sei miliardi di dollari.
Il team di Lansdorp vanta nomi di tutto rispetto quali Mason Peck, fino a pochi mesi fa responsabile per le questioni tecnologiche alla Nasa. Ma molti restano scettici, inclusa la Mars Society, la storica associazione che promuove l’esplorazione umana del pianeta rosso.
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«È solo fantascienza» dichiara sul sito Jürgen Herholz, presidente della sezione tedesca (e project manager per i voli umani dell’Agenzia spaziale europea, Esa). Non ci sono stime di costo credibili neanche solo per la selezione e addestramento del personale, afferma. E pur con l’efficienza di un privato 6 miliardi non bastano. «Il nostro progetto per portare l’uomo su Marte, Mars Direct, è estremamente dettagliato, basato sulle missioni già realizzate e in corso. Quindi è ben più realistico di Mars One. Se realizzato in condizioni ottimali, con un deciso sostegno politico, un progetto chiaro e finanziamenti certi fin dal primo istante, costerebbe 60 miliardi. E la Nasa per la sua missione ne prevede 600. Mars One rinuncia al volo di ritorno, ma il risparmio sarebbe minimo».
Tutto questo senza considerare le difficoltà e le minacce che i marsonauti dovranno fronteggiare: sfide che i più giudicano affrontabili per una missione di qualche mese, ma di tutt’altro ordine se vanno sopportate a vita.
Sulla stessa linea il presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica, Giovanni Bignami: «Andare su Marte è difficilissimo, richiede 20 anni di preparazione e un investimento enorme. Oltre alla flotta che trasporti tutto il carico, bisogna organizzare un sistema di comunicazione a banda larga del tutto affidabile. Non basta l’antennina sul casco come nei film: ci vogliono satelliti dedicati, collocati e collaudati in orbita marziana, e tutta la rete di antennone necessarie a Terra a ricevere le comunicazioni vocali ad alto flusso da così lontano. È uno sforzo impensabile per dei privati. Anche a prescindere dalla follia di mandare dei condannati a morire sulla superficie di Marte, che nessun governo accetterebbe».
A parte un piccolo crowdfunding, i soldi verrebbero da sponsor e diritti TV per quello che sarà il più grande reality show mai visto. Selezioni e addestramento, decolli e atterraggi, e soprattutto la vita in diretta dei coloni diverranno un immenso Grande Fratello in mondovisione. Se le Olimpiadi di Londra hanno fruttato 4 miliardi, ragiona Lansdorp, il più grande evento della storia umana incasserà ben di più.
Anche ammesso che tutto funzioni, resterà poi da fare i conti con la fragilità della psiche umana. Su questo le prime esperienze sono incoraggianti, ma forse poco indicative. Un viaggio di andata e ritorno su Marte è stato simulato nell’esperimento Mars500, con sei «astronauti» rimasti chiusi per 520 giorni in un’astronave riprodotta sulla Terra che replicava gli ambienti, il cibo, il ritardo delle comunicazioni e ogni altra condizione del viaggio, tranne ovviamente l’assenza di gravità. «Abbiamo visto che man mano che l’isolamento procede si riduce la capacità di selezionare le informazioni rilevanti e tralasciare le altre nel continuo flusso che riceviamo. Così prendere decisioni diviene più lento e faticoso, cosa problematica soprattutto in caso di emergenze. Per ora comunque abbiamo trovato solo variazioni minime, anche se stiamo proseguendo gli studi», spiega la psicologa Enea Denise Ferravante, che ha lavorato con Fabio Ferlazzo della Sapienza di Roma, e Berna Van Baarsen dell’Università di Amsterdam.
Altri hanno trovato alterazioni del sonno, le cui cause e conseguenze restano da chiarire. Nell’insieme, comunque, non è emerso nulla di drammatico: con motivazioni salde legate all’impresa in sé e non a premi futuri, un carattere flessibile e un buon addestramento, il viaggio non pare porre ostacoli insormontabili.
Questo, naturalmente, per un viaggio di pochi anni. Altro è l’idea di una esilio a vita, su cui poco si può pronosticare. «L’isolamento, il confinamento in 50 metri quadri a testa, la mancanza di privacy e di assistenza psicologica sarebbero ciascuno una grossa preoccupazione. Insieme sono una catastrofe incipiente» ha scritto sul Guardian Chris Chambers, neuroscienziato della Cardiff University, schierato fra i pessimisti.
Landsorp non si scompone e procede. Stringe accordi con fornitori, raduna sponsor, raccoglie proposte di esperimenti da mandare sul primo volo marziano per contribuire alle spese, e a giugno ha annunciato un accordo con una società del gruppo Endemol per filmare selezioni e addestramento degli astronauti, le cui prime puntate dovrebbero andare in onda già l’anno prossimo.
Non per questo gli scettici sembrano pronti a cambiare idea. Forse il vero mistero psicologico «è come ha fatto Mars One a convincere gli sponsor», ribatte caustico Chambers. Per concludere che «se il piano procede, forse la missione prevista dalla Nasa per gli anni ’30 dovrà chiamarsi Mars Rescue», cioè «Salvataggio su Marte».