Se all’integralismo islamico l’Europa contrappone l’identitarismo, finisce la civiltà occidentale. ?Parla lo scrittore anglo-pachistano

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Dobbiamo assolutamente aggrapparci ai nostri valori, a i valori dell’Occidente. Penso che paradossalmente, per rispondere ai terroristi, abbiamo bisogno di ancora più libertà, di più accoglienza. Ciò che vedo invece è soltanto l’aumento esponenziale delle barriere e della paranoia. Ai confini vengono eretti muri sempre più alti, nelle città serpeggia odio per il fiume di rifugiati che si riversa qui dalla Siria. Vedo più intolleranza, e la possibilità più concreta di una vittoria delle destre, a cominciare da Marine Le Pen in Francia. Un fascismo di ritorno in Europa, o almeno una risposta di tipo fascista, come reazione all’Islam.

Ci troveremo così alle prese con due generi di fascismo: il fascismo di questa particolare visione dell’Islam e il fascismo dell’Occidente, con la deriva anti-neri, anti-Islam, anti-minoranze. E se questo succede, se muoiono il multiculturalismo e il pluralismo, se distruggiamo i valori su cui sono fondate le nostre società, vuol dire che l’Is ha già vinto». Lo scrittore Hanif Kureishi, nato a Londra ma di origini pachistane, è a Roma per presentare il suo ultimo libro “Un furto” (Bompiani) e qui è stato travolto dalle notizie provenienti da Parigi.
Il commento
Terrorismo, lo scontro è tra morte e champagne
20/11/2015

È solo un inizio, Kureishi?
«Sì, credo che gli attacchi sul genere della strage compiuta a Parigi saranno sempre più frequenti in Occidente. Da un punto di vista strettamente tecnico, è evidente che l’unica soluzione possibile al problema della Siria è di tipo politico, negoziale. È chiaro che né Obama né Hollande hanno intenzione di invadere la Siria e di cominciare l’ennesima guerra inutile sulle orme di Blair e George W. Bush. Senza contare che i terroristi, come ormai dovremmo aver capito, non sono immigrati recenti ma ragazzi, uomini e donne nati e cresciuti nei nostri paesi. Dal mio punto di vista, serve ancora più solidarietà tra e con tutte le minoranze. Perché alla fine, i musulmani desiderano ciò che desiderano tutti: belle case, un buon lavoro, un futuro decente per se stessi e per i loro figli. Un posto nella società. E fino a quando la società, in particolare quella francese, non affronterà il problema, fino a quando non ci confronteremo con le sfide del mondo attuale, ci saranno sempre più attacchi, ci sarà sempre più rabbia ai confini del nostro mondo».
Commento
"Vi spiego perché i terroristi perderanno"
20/11/2015

Il problema dei migranti è diventato terreno di scontro politico: accoglienza e integrazione o paura e rifiuto?
«Integrazione è un parola fantastica. Vuol dire che i migranti avranno un lavoro, la previdenza sociale, che i loro figli andranno a scuola, che nella vita gli saranno garantite le stesse opportunità dei locali. Integrazione implica la possibilità di avere una vita vera nel luogo di residenza. Il problema è che adesso ci sono centinaia di migliaia di persone in viaggio. E non so, non posso giurare che l’Occidente sia pronto o che abbia la possibilità di assorbirli. Serve una volontà politica reale di risolvere il problema. La gente abbandona la Siria a causa della guerra, e non c’è molto da fare per fermarla. Costruire barriere e muri non serve, questa gente è disperata e troverà comunque il modo di passare. E in questo caso esiste una forte corresponsabilità dell’Occidente: l’atteggiamento verso Assad, la guerra in Iraq. Sono questioni politiche complesse e l’Occidente, in particolare Bush e Blair, le hanno ulteriormente complicate. Ma, per tornare alla minaccia terroristica, ripeto: non si tratta quasi mai di immigrati ma di individui nati e cresciuti a occidente».

Lei ha scritto nel 1996 “Mio figlio il fanatico”, che si è rivelato profetico ponendo l’accento su una mutazione sociale in atto: la prima generazione di immigrati, integrata nella società inglese, alle prese con figli e nipoti che invece diventavano integralisti. È la realtà di oggi?
«La generazione di mio padre è cresciuta in una società coloniale, in cui i “bianchi” erano l’ideale da imitare. E noi pachistani o indiani imitavamo ciecamente quel modello: eravamo in fondo soltanto dei bianchi malriusciti. Questo paradigma ora non esiste più: i giovani di origine non europea non desiderano essere bianchi o identificarsi con gli occidentali. A un certo punto è nato un movimento chiamato “Back to the roots”, una riflessione sulla questione dell’identità. Si chiedevano chi, come dovessero essere gli individui di origine straniera che vivevano in Occidente. Non si trattava nemmeno di trovare un’identità, ma piuttosto di costruirne una».

E l’unica identità che sono riusciti a costruire è stata l’adesione all’integralismo religioso?
«Diciamo che si è trattato in realtà di una reinvenzione dell’identità religiosa. Per fare un esempio, nel momento in cui questo passaggio avveniva le mie zie a Karachi indossavano la minigonna e bevevano cocktail. È stata la reinvenzione di una religione idealizzata, un concetto che ha occupato il posto lasciato vacante dal colonialismo e dal fallimento dell’ideologia marxista. In ultima analisi, si tratta sempre di una forma di fascismo: cioè di voglia di risposte pronte, di autoritarismo, di bisogno di colmare un vuoto».

Che genere di vuoto?
«Un vuoto di significato. Il neoliberismo non ha etica, tutto ciò che devi fare è lavorare e diventare ricco, trasformarti in una macchina da soldi per ottenere status symbol. Senza risposte ma, soprattutto, senza domande. Rifugiarsi nella religione significa avere una risposta a tutto: devi soltanto seguire le regole, seguire il Signore, e tutto andrà bene, tutto acquista un senso. È una soluzione non priva di una sua terrificante bellezza, ma alla fine si tratta sempre di fascismo, di fascismo con un substrato religioso estremamente pericoloso per tutti».

Quanto è lungo, o breve, il percorso che da questa ideologia conduce a Daesh?
«Quando ho cominciato a intervistare e a parlare coi giovani per scrivere “Mio figlio il fanatico” era il 1995. E ricordo che quei ragazzi mi dicevano di voler creare un nuovo Stato. Ricordo di aver pensato che stessero scherzando, tanto l’idea mi era sembrata ridicola. Gli domandavo dove avrebbero voluto vivere, e dicevano di non voler più abitare in Inghilterra e nemmeno in uno Stato musulmano “di compromesso” come l’Arabia Saudita, ma di voler fondare un nuovo Stato. Nello Yemen, dicevano, o in Medio Oriente. Volevano fare la loro rivoluzione, come i russi o i cinesi. Volevano creare una nuova società fondata sulle loro regole. E quando alla fine ci hanno provato davvero, hanno realizzato che in ultima analisi a fare una rivoluzione basta poca gente, non ti servono le folle. Ti serve soltanto un Paese molto vulnerabile e un pugno di gente molto motivata e determinata. Ecco, Daesh ha compiuto questa incredibile trasformazione».

Daesh e l’Islam estremo fanno presa anche su giovani occidentali che si convertono e vanno a unirsi all’Is. Come lo spiega?
«Dobbiamo domandarci perché i nostri figli si sentono abbandonati a casa loro, perché pensano di non poter costruire qualcosa a casa loro. E la risposta riguarda l’incapacità delle nostre società di fornire valori solidi su cui costruire e sognare».