I 35 anni sono lo spartiacque della fertilità? Che ruolo gioca il tempo? Quanto le difficoltà di concepimento sono legate all'uomo? Studi ed esperti chiariscono molti dubbi

Siamo ossessionati dall’orologio biologico? Le polemiche sul Fertility day hanno portato il problema alla ribalta: oltre una certa età, la possibilità di aver figli sembra ridursi drasticamente. Soprattutto per le donne che possono contare su una riserva di ovuli “a numero chiuso”. Che sembra precipitare quando si avvicinano i trentacinque anni. Anche se sulla data fatidica le polemiche non mancano, rinfocolate dal fatto che la fertilità femminile è un dato sfuggente, un insieme di elementi diversi che mette a dura prova le capacità dei ricercatori. Tanto più che, accantonata la sterilità vera e propria - l’impossibilità di concepire, rara quando facile da diagnosticare - il problema in esame è quello dell’infertilità, l’impossibilità di portare a termine una gravidanza, o più ancora dell’ipofertilità, o fertilità ridotta.

In genere, si definisce fertile una coppia se la desiderata gravidanza arriva entro diciotto mesi di rapporti regolari nei giorni fertili. «E’ corretto parlare di coppia, e non solo della donna: il problema riguarda entrambi » precisa l’andrologo Luigi Montano. Perché i problemi d’infertilità sono equamente divisi tra i partner, «senza dimenticare una quota non marginale di casi in cui anche gli esami clinici non permettono di capire perché una coppia non riesca a concepire».
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E anche se gli uomini possono concepire fino a tarda età, il passare degli anni incide in modo non marginale sulla loro fertilità. «Tanto che l’età del partner ha un impatto significativo sulla fertilità di coppia, particolarmente quando la donna ha superato i trenta», spiega il biostatistico David Dunson della Duke University in uno degli studi più dettagliati disponibili sul tema: considerando che una trentacinquenne in coppia con un coetaneo abbia una probabilità del 29 per cento di concepire in un determinato periodo, se il partner è un ultraquarantenne, le probabilità scendono al 18 per cento.

C’è anche chi si chiede se il concetto stesso di orologio biologico abbia senso: in un saggio uscito prima dell’estate, Labor of Love: The Invention of Dating,  la scrittrice americana Moira Weigel sostiene che l’idea di collegare il concetto di orologio biologico alla fertilità femminile sia un’invenzione recente, resa popolare da un articolo con questo titolo apparso nel 1978 sul Washington Post (e ancora reperibile on line).

Il problema sono i dati che presentano il trentacinquesimo compleanno come un vero e proprio spartiacque: indagare sulle potenzialità riproduttive della popolazione femminile è tutt’alto che semplice, e secondo la psicologa Jean Twenge i dati pubblicati all’inizio del 2000, su cui si basano gli studi più allarmistici, sarebbero vecchi addirittura di secoli.

In effetti, dati più recenti, come quelli utilizzati da uno studio su oltre 700 donne europee pubblicato da Dunson nel 2004 sulla rivista Obstetrics & Gynecology, mostrano una situazione più sfumata: se l’86 per cento delle donne tra i 27 e i 34 anni riesce a concepire entro un anno, la percentuale scende a 82 per quelle tra i 35 e 39 anni. Ma il problema, spiega ancora Dunson «riguarda una diminuzione della fertilità più che una sterilità vera e propria». Dallo studio emerge che molte coppie riescono a concepire prolungando i loro tentativi per un anno o avendo rapporti più vicini al giorno di ovulazione: «In altri termini», sostiene Dunson, «le coppie più mature che hanno sesso un giorno prima rispetto a quelle più giovani riescono a eliminare del tutto gli effetti della differenza di età».

In ogni caso, basta uno sguardo alla situazione italiana per capire che le cose non sono cosi semplici.  «In società avanzate come la nostra, si calcola che ad avere problemi di fertilità sia in media una coppia su sei», spiega Andrea Borini, ginecologo e presidente della Società Italiana di Fertilità Sterilità e Medicina della riproduzione (SIFES). Di questi, una parte chiede aiuto ai centri per la procreazione assistita, altri per vari motivi rinunciano: «Ma se tutte le coppie fertili avessero figli non sarebbe difficile avere un tasso di natalità intorno a 2,1 figli per donna, insomma in lieve crescita» osserva Borini. Invece siamo a 1,37, un dato che segna un’inevitabile diminuzione della popolazione. «I dati confermano che le coppie non fanno figli, però è un problema sociale, economico, non sanitario: anche chi potrebbe avere figli non li fa, per i motivi che conosciamo e di cui si è parlato in questi giorni», sottolinea il presidente SIFES.

Anche se una maggior conoscenza della situazione sarebbe utile. «Molti giovani non si rendono conto che il tempo gioca un ruolo importante», osserva Borini. Un’ignoranza che si traduce in delusione quando si arriva - spesso dopo anni di tentativi - a un centro per la procreazione assistita. In cerca di una soluzione che sembra a portata di mano leggendo le notizie di mamme famose over 50. E invece spesso non è così immediata, senza contare che il ricorso alla procreazione assistita, oneroso e impegnativo, non può essere la soluzione per chi ha rimandato una decisione. «Non si tratta di colpevolizzare nessuno», rileva Borini. «Ma di mettere le persone in condizione di prendere decisioni informate. E di capire che attendere può portare problemi». Il che non significa che una ultra trentacinquenne non possa rimanere incinta spontaneamente. Solo che le probabilità diminuiscono «e a quell’età, se non si ottiene una gravidanza in sei mesi, è il caso di chiedere aiuto». Perché non tutto il periodo fertile è fertile allo stesso modo: con il passare degli anni gli ovuli diminuiscono drasticamente, oltre a peggiorare di qualità aumentando il rischio di aborti e alterazioni cromosomiche. Ovviamente anche la qualità dello sperma peggiora.

E ci sono altri elementi da prendere in considerazione sia per gli uomini sia per le donne: lo stile di vita, il fumo o il consumo di alcol, le malattie sessualmente trasmissibili, «ma anche la frequenza dei rapporti che in genere oltre una certa età si riduce» osserva Montano. Senza dimenticare gli effetti dell’ambiente: «Sulla relazione tra inquinamento e infertilità maschile abbiamo dati importanti: ora ci stiamo rendendo conto che nelle donne che vivono in aree ad alto impatto ambientale c‘è una riduzione dei concepimenti e un aumento nel numero di aborti», osserva Montano, promotore del progetto Ecofoodfertility . «Un uso regolare del profilattico da parte dei giovanissimi farebbe la differenza, ma quanti se ne rendono conto?», conclude Borini. «Purtroppo la biologia della riproduzione non fa parte dei programmi scolastici, i ragazzi non sanno cosa mette a rischio la fertilità».